Decine di agenti di polizia chiamati a intervenire per una chiamata di soccorso all’interno di un ospedale psichiatrico.
Strano.
Le comunicazioni con loro interrotte da tempo e nessuna traccia di attività nel parco antistante l’ospedale.
Ancora più strano.
Aprire le porte della struttura ospedaliera, e ritrovarsi di fronte ad un ecatombe, corpi mutilati e sangue ovunque non è più strano …
È l’inizio di un viaggio di sola andata in un vortice di follia.
Queste le premesse con cui The Evil Within si presenta al giocatore, ultima fatica di Shinji Mikami, celebre creatore della saga Resident Evil, che riporta sui nostri schermi un gioco dalle forti tinte horror, strizzando l’occhio alla saga che anni fa creò il genere.
Sebastian Castellanos, questo il nome del nostro alter-ego, investigatore della polizia di Krimson City, dopo esser giunto all’interno dell’ospedale psichiatrico dove si sono perse le tracce dei suoi uomini, si ritrova di fronte a questi ultimi, fatti a pezzi senza motivo apparente. Insieme ai suoi 2 colleghi inizia così a investigare su cosa sia accaduto all’interno dell’edificio, quando una presenza oscura dai poteri paranormali li proietta in una sorta di mondo parallelo, dominato da follia macabra e sanguinaria.
Risvegliatosi all’interno di quella che sembra essere una sala medica all’interno della struttura di igene mentale, Sebastian fà il suo primo incontro con gli abomini che popolano il gioco. Ci ritroveremo in un angolo buio tra cadaveri appesi al soffitto come carne da macello, e davanti a noi quello che una volta era un uomo corpulento, con il volto nascosto da una maschera di tortura che inizia a squartare cadaveri con la sua motosega proprio di fronte a noi. Qui abbiamo il primo approccio con il gameplay vero e proprio, che punta subito a darci la prima lezione di sopravvivenza all’interno di The Evil Within: spesso la fuga o un’approccio stealth al gioco, risulta essere l’unica arma vincente per poter proseguire. Le dinamiche stealth infatti saranno ampiamente usate dal giocatore durante tutto il corso dell’avventura, che però non si ridurrà ad un semplice gioco di nascondigli e sotterfugi, ma riuscirà ad alternare in maniera adeguata anche momenti di fughe spericolate, e apri-pista a fuoco spianato.
Una volta riusciti a sfuggire al maciullatone di cadaveri, ecco che il nuovo titolo Bethesda inizia a mostrare il suo lato più affascinante: l’atmosfera e le ambientazioni del mondo di gioco.
Ci ritroveremo in quello che sembra essere un paese rurale, dove però la decadenza delle strutture fa pan-dan con gli abomini che popolano queste terre. La cura che il team ha posto nella creazione di un mondo di gioco dove, ricordiamo, la follia va a braccetto con il macabro, è evidente sin da questi primi assaggi di gioco. Lasciamo da parte le ambientazioni soleggiate dell’Africa di Resident Evil 5, perchè in The Evil Within saranno il nero delle ombre ed il rosso del sangue a fare da padroni cromatici. Ci sono momenti in cui il giocatore riesce davvero a percepire la sensazione di ritrovarsi costretto all’interno dell’incubo di qualche psicopatico, in cui i luoghi surreali e le visioni allucinate del protagonista vi faranno spesso dubitare non solo dell’esistenza dei luoghi esplorati, ma anche della stessa sanità mentale del vostro alter-ego.
Se in un primo momento si poteva pensare a The Evil Within come ad un titolo action a sfondo horror, dopo le prime decine di minuti di gioco ci si rende subito conto di quanto questo non sia propriamente vero. Svecchiando le dinamiche di gameplay che hanno reso celebre la saga di Resident Evil, Shinji Mikami riesce a dare nuova linfa vitale al genere dei classici survival horror, mantenendo intatto il feeling di un’esplorazione di un mondo ostile e contorto, dove bisogna razionalizzare il consumo di risorse a disposizione evitando lo scontro quando questo non risulti necessario, ma riuscendo anche a costringerci ad esser veloci ed efficienti con la mira quando ci ritroveremo spalle a muro a dover fronteggiare orde di zombi e creature deformi.
The Evil within riesce a lasciare il gusto della vecchia scuola dei survival horror in bocca al giocatore, riuscendo al tempo stesso ad innovare alcune formule di gameplay che avrebbero stonato nel contesto videoludico moderno. Inizialmente ci si potrebbe aspettare un horror dove è la tensione costante verso l’ignoto a farla da padrone, ma più si procede con l’avventura più si capisce che il cuore pulsante del gioco risiede nell’essere forzati ad assistere a scene e contesti disturbanti, senza aver nessuna possibilità di tirarsi indietro o nascondersi a lungo; costringendo di fatto il giocatore a dover procedere in ambienti lugubri ed inquietanti nella speranza di raggiungere il prossimo check-point e tirare un tiro di sollievo.
Dal fronte tecnico The Evil Within purtroppo non riece a raggiungere la sufficienza nell’attuale mondo PC. Se da un lato la volontà di forzare la presenza delle bande nere a schermo ed il filtro a grana per sporcare l’immagine, possono risultare valide idee da un punto di vista di immersività cinematografica, il tutto si traduce in un’esperienza poco utile in termini di gameplay. Uno dei maggiori difetti è proprio quello della telecamera che, essendo posizionata troppo vicino al nostro alter-ego, lo fa risultare talmente invadente sul campo visivo da castrare la libertà di azione. Anche l’assenza quasi totale di opzioni grafiche come anti-aliasing, qualità di texture, ombre ed altri effetti vari, che ormai si da per scontata nei titoli PC, fa storcere il naso non solo perchè rivela la natura del gioco come becero porting console, ma anche perchè non permette all’utenza con PC non troppo performanti di godere il titolo sulle loro macchine.
Pro
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Ambientazione generale di ottimo livello in grado di trasmettere al giocatore la sensazione di un viaggio nella mente contorta di un sanguinario mostro omicida
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Riesce a risollevare il genere del classico survival horror, svecchiando le meccaniche di gameplay ma facendo rimanere intatto il feeling dei vecchi tempi
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Trama e narrazione riescono a coinvolgere il giocatore senza mai annoiare
Contro
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È un porting console rozzo che non fa nulla per mascherare questa sua natura
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La telecamera troppo ravvicinata al protagonista rende il tutto più difficile da gestire
Commento Finale
Shinji Mikami riesce a riportare in alto il nome dei survival horror in terza persona, facendo guadagnare a The Evil Within la candidatura come miglior titolo horror dell’anno. Peccato per le troppe lacune tecniche che vanno ad intaccare un gioco che, altrimenti, avrebbe potuto farsi godere molto di pi