The Binding of Isaac è un gioco che quasi non ha bisogno di presentazioni. Partorito da quel geniaccio di Edmund McMillen e uscito nel 2011, il gioco, contro qualunque rosea aspettativa dell’autore, ebbe fin da subito un enorme successo e divenne popolare. Tant’è che il buon Edmund decise di dare una degna ristrutturazione al titolo, ricreandolo da zero soprattutto per accantonare il controverso Flash in favore di un motore proprietario che garantisse la stabilità in termini di frame rate, accompagnato da una grafica pixel-art in alta definizione che tanto piace all’autore.
Ecco quindi che, con la collaborazione del team Nicalis (Cave Story+), The Binding of Isaac: Rebirth giunge infine tra noi. È valsa la pena aspettare questo remake, oppure si tratta solamente di una mera azione commerciale atta a spillare soldi agli incauti fan?
Se siete tra i pochi che non hanno mai visto né sentito di questo piccolo indie, il suo successo deriva fondamentalmente dal suo gameplay immediato e dalla sua storia raccapricciante: Isaac è un bambino come tanti altri, che vive con la madre, ma per la sua religiosissima indole, quest’ultima comincia a sentire le parole del Signore, chiedendole di sacrificare suo figlio per dimostrare la sua fede.
Isaac, capendo il pericolo che sta correndo, si butta giù da una botola nella sua stanza, trovandosi nelle fondamenta della sua stessa casa. Ma è tutto fuorché al sicuro, poiché le varie stanze che comporranno i vari livelli di gioco (il cui labirintico pattern è generato casualmente), sono infatti popolate da bizzarre creature, entità divine ed escrementi giganti che gli sbarreranno la strada e cercheranno di farlo fuori. Per difendersi da questi abomini, il buon Isaac, o gli altri personaggi sbloccabili, potranno lanciare le proprie lacrime, sangue, urina, o altre secrezioni corporee, come se fossero proiettili letali.
Per aiutarci nel nostro folle e malato viaggio, nei vari livelli saranno dislocati vari oggetti, power-up che conferiranno particolati abilità, cambieranno le caratteristiche base, e che spesso cambieranno anche l’aspetto esterno del nostro personaggio, spesso con inquietanti mutamenti.
Ed è proprio in questi oggetti che risiede lo spirito del gioco stesso: a fronte di più di 450 oggetti dichiarati, (contro i poco più di 200 dell’originale), ognuno di essi potrà cambiare drasticamente il nostro modo di giocare e di affrontare gli avversari, donandoci vantaggi, ma anche addirittura svantaggi, a seconda del nostro approccio col gameplay. Naturalmente, è stata completamente omessa una guida che spieghi in dettaglio cosa i singoli oggetti facciano: sarà infatti compito del giocatore provarli e capire le loro proprietà e dei loro effetti, e soprattutto ricordarseli.
Lo scopo di ogni partita è quello di raggiungere il boss finale e sconfiggerlo, uccidendo obbligatoriamente tutti i nemici che vi si pareranno davanti, assieme ai boss di fine livello. Tutto qui. Tuttavia si può dire che ogni volta che finirete una partita (mediamente lunga mezz’ora), oltre a sbloccarci oggetti nuovi e potenti, a seconda di quale personaggio avete usato, il gioco si farà sempre più difficile, aggiungendo nuove locazioni, nuovi mostri, nuovi boss intermedi e nuovi pericoli e addirittura nuovi livelli. E quando morirete, dite addio a tutto: sia i livelli che il vostro equipaggiamento verrà perso, e dovrete necessariamente ricominciare da capo, in un nuovo livello di cui non conoscerete nulla di nulla!
Fortunatamente, a differenza della versione originale, qui si potrà chiudere una partita per riprenderla successivamente. Comodissimo se avete appena dieci minuti ma volete comunque portarvi avanti con una partita!
Detta così può sembrare che finire una partita sia facile se si ha la fortuna di trovare oggetti potenti. In parte è vero, ma dimenticandosi per un secondo l’obiettivo del gioco, il divertimento sta proprio nel viaggio, dalle sporche Fondamenta, fino alle fredde e buie Profondità, poiché sarà un susseguirsi di scoperte, scelte, sacrifici e di scommesse. Come finirà una partita non ha importanza, perché sia che siate diventati fragili e deboli, sia che siate diventati demoni immortali, la maggior parte di queste partite sarà argomento delle vostre chiacchiere fra amici nerd per farsi due risate.
Una gradita novità è la modalità co-op, purtroppo funzionante solo in locale: se avete un coinquilino, costringetelo a giocare con voi! Le regole del gioco sono le stesse, tuttavia il vostro partner comanderà un fantasmino (le cui proprietà saranno casuali), non potrà interagire con gli oggetti, ma potrà attaccare, usando lo stesso tipo di attacco del personaggio principale. Per poter far entrare un partner co-op si dovrà pagare un tributo di sangue: uno dei ‘contenitori’ di cuori che costituisce la salute del personaggio sarà infatti donato al nuovo arrivato, ma verrà prontamente restituito qualora il vostro partner decidesse di andarsene via oppure venisse ucciso in maniera poco dignitosa. Ci sono tante tattiche per giocare bene in co-operativa, ma ovviamente sono tutte da scoprire e sperimentare.
Dal punto di vista grafico il gioco se la cava davvero bene: dimenticandosi per un attimo la grafica Flash, ci vuole davvero poco tempo per abituarsi al pixel-art e rendersi conto dell’eccellente lavoro di disegno e di animazione dei singoli elementi, che siano mostri, oggetti o elementi decorativi. Una chicca incredibile è la quantità abnorme di sangue, ossa e budella che i vostri nemici lasceranno sul pavimento dopo che li avrete mandati al creatore, rendendo la stanza incredibilmente sporca e alquanto macabra (ma che inevitabilmente verrà ripulita una volta che abbandonerete una stanza).
Anche dal punto di vista audio se la cava egregiamente, facendoci ascoltare delle buone, ma non eccezionali come lo furono nell’originale, tracce audio, mentre alcuni dettagli sonori sono stati resi deliberatamente ridicoli, come i versi di alcuni mostriciattoli quando attaccano.
Pro
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È Binding of Isaac, riveduto e corretto in tutti gli aspetti;
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Elevatissima rigiocabilità, mastodontico, può durare centinaia di ore;
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Si può interrompere una partita per riprenderla successivamente.
Contro
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Co-op solo locale;
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Alcuni elementi potrebbero disturbare o offendere alcuni;
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È una droga: crea troppa dipendenza e assuefazione.
Commento Finale
Vale davvero la pena di comprare il remake di un gioco fondamentalmente uguale nelle meccaniche dell’originale, anche se avete già dato anima e corpo per completarlo al 100%? Sì, decisamente. Perché è così che si dovrebbe fare un remake: non un semplice copia e incolla, ma un vero e proprio lavoro di ristrutturazione, modificando, ampliando, correggendo e lasciando al tempo stesso immutato quel che è lo spirito del gioco stesso. E l’aggiunta dei nuovi mostri e dei nuovi oggetti vale decisamente la pena di rigiocarci da capo. Per i novizi è un obbligo provarlo, per i veterani è un obbligo acquistarlo. Chiudete un occhio sul prezzo forse un po’ altino, perché si merita ogni centesimo.