No categorico ai preordini

L’importanza del marketing e dell’hype instillato nel giocatore dai sontuosi trailer di annuncio di molti titoli viene ultimamente considerata vitale dai grandi publisher, deliziati dall’altissima percentuale di preordini effettuati dalle più o meno ignare vittime.
C’è chi preordina per avere un esiguo sconto sul prezzo finale, chi per ottenere degli impalpabili bonus digitali, chi lo fa spinto dall’onda emozionale ed ancora chi agogna alle limited/collector’s edition.
Nonostante tutte queste scusanti, però, il preordine in sé rimane un concetto perverso, incredibilmente anti-consumatore e privo di senso in un mercato traslatosi quasi in pianta stabile sulle piattaforme digitali.

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Perché preordinare è sbagliato? Innanzitutto, se escludiamo dall’equazione le edizioni a tiratura limitata, non ci sono reali vantaggi -almeno per l’utente- nell’utilizzo di tale metodologia di acquisto.
Non siamo più nell’era Compact Disc in cui si rischiavano lunghe attese a causa dell’esaurimento scorte, oggi basta un click sullo store online di turno e il gioco ci viene spedito in pochi giorni senza neanche doverci muovere da casa.
Al giorno d’oggi il rischio di perdersi il day one è praticamente nullo, e anche qualora accadesse non sarebbe una grave perdita dal momento che un numero preoccupante di titoli presenta spesso gravi problemi al lancio.
Neanche a dirlo, si tratta di una diretta conseguenza dei preordini.
Il publisher osserva le entrate crescere mesi prima dell’uscita di un gioco, quindi a sviluppo non ultimato, e si crogiola sui profitti con una volontà sempre minore di perfezionarlo in vista del lancio: è semplice logica aziendale, niente di più.

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Lo scopo definitivo dei preordini vorrebbe essere quello di bypassare le recensioni, i pareri dell’utenza, ed in generale il processo di informazione che si affronta prima di valutare l’acquisto di un determinato titolo.
La trappola tesa dai distributori ha dietro dei meccanismi tanto prevedibili quanto efficaci e punta sul mettere fretta al pubblico, fargli credere di essere obbligato a preordinare per godere dell’esperienza completa alla modica cifra di 120+€ nel caso di tripla A come Star Was Battlefront.
Non paghiamo più per l’effettiva qualità dei giochi ma per l’efficacia delle campagne pubblicitarie, comprando a scatola chiusa cocenti delusioni (ved. Arkham Knight) per poi sperare in un rimborso in extremis grazie a Steam.
Stiamo assistendo alla scomparsa delle demo, unico modo più o meno limpido di testare un gioco appena prima della release, in favore degli accessi alle beta schiaffati come preorder bonus in una dozzinale collector’s edition dal prezzo esorbitante e dai contenuti a dir poco deludenti.
Ci troviamo spesso di fronte al marketing fraudolento di compagnie che mostrano trailer di gameplay in pompa magna senza nessun riguardo per gli utenti che in seguito si troveranno tra le mani un titolo pesantemente downgradato.

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Perché accade tutto ciò? Per colpa dei preordini, o quantomeno per colpa di chi preordina.
Non ci sentiamo, infatti, di inveire contro i publisher, tanto sappiamo già da lungo tempo che la loro logica consiste soltanto nello spremere i giocatori come vacche da latte.
In ultimo bisogna chiedersi se l’intenzione generale sia davvero quella di liberarsi da simili pratiche al limite dell’eticità oppure se continuare ad arricchire a testa bassa, senza diritti, a mo’ di schiavi, l’infernale macchina stampa-banconote che è diventata l’industria videoludica.
La scelta sta al vostro portafogli.

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