Sempre più publisher tripla A sembrano voler salire sul carro apparentemente trionfante dei cosiddetti “live services”, vale a dire esperienze multigiocatore online progettate per durare almeno un paio d’anni. Gli esperimenti condotti finora (basti pensare a FIFA, GTA V Online e Destiny) hanno dato un riscontro talmente positivo in termini economici da spingere EA, Ubisoft, Microsoft, Take Two e Activision Blizzard a mettere in secondo piano le normali release a cadenza regolare e, si presume, i titoli single player in favore, appunto, di questi live services. La vicenda è allo stesso tempo preoccupante e interessante. Preoccupante perché da un lato potrebbe rappresentare la fine del gaming per come lo conosciamo e di molti amatissimi franchise, ad esempio Mass Effect e Assassin’s Creed. Interessante perché, ad un’attenta analisi, si tratta di una manovra di marketing non così sicura come pensano i publisher e non c’è da escludere che possa fallire miseramente. Andiamo ad approfondire.
I motivi per cui l’avvento dei live services non entusiasma la maggior parte del pubblico sono abbastanza chiari. Quando colossi del settore come EA, Ubisoft e Activision dichiarano che oltre il 50% del loro fatturato annuale proviene dalle microtransazioni, risulta difficile non avere un sentore di amaro in bocca. Non a caso le ultime uscite in ambito tripla A non vanno affatto per il sottile e propongono sistemi di monetizzazione che farebbero invidia persino a quelli dei free to play meno generosi su piazza. L’unica, sostanziale, differenza è che costano 60-70€ e spesso contengono persino dei season pass. Chiaro che parliamo in linea di massima di titoli multiplayer (nonostante alcuni ci provino anche con i single player), dunque prodotti destinati a una certa tipologia di gamer. Proprio per tale motivo sorge l’ovvia preoccupazione che le avventure offline siano cadute in fondo alla lista delle priorità dei maggiori publisher, ora impegnati anima e corpo a sfornare macchine da soldi costantemente nutrite dalle carte di credito delle balene, in gergo coloro che spendono negli acquisti in app.
C’è, comunque, un ma. Emulare il successo di titoli come Destiny è parecchio difficile, soprattutto se si pensa che neanche lo stesso Destiny 2 ci sta riuscendo, e anzi il progetto sembra destinato al decadimento. Perché? Fondamentalmente le cause vanno ricercate nella velocità con cui i contenuti ludici vengono consumati al giorno d’oggi e nella crescente consapevolezza degli utenti nei confronti di pratiche predatorie come loot box e microtransazioni. Visto e considerato che questi live services escono con pochi contenuti al lancio (i più maliziosi direbbero per vendere meglio le espansioni), il rilascio di corposi e frequenti aggiornamenti si rende quanto mai necessario. Questo non è sempre possibile, e si arriverà inevitabilmente a situazioni di stallo numerico della player base, se non addirittura a esodi come avviene in molti MMO. In una delle ultime -sfortunate- uscite pubbliche Bungie ha dichiarato che ‘creare contenuti è troppo difficile’, con cui secondo noi intendeva dire che creare contenuti sempre nuovi e vari per un singolo gioco è troppo difficile. I live services, dunque, rappresenterebbero un peso non indifferente per gli sviluppatori: fatto da tenere in considerazione.
Il nocciolo, però, è un altro. Parliamo di modello economico, di monetizzazione. Affinché i live services partano con il piede giusto bisognerebbe anzitutto renderli free to play. Crediamo fermamente che Star Wars Battlefront 2 l’avrebbe passata liscia con le sue pratiche pay to win se non avesse avuto un prezzo premium. Se i publisher pretendono botte piena e moglie ubriaca, non c’è da stupirsi che si scatenino terribili shitstorm sul web. Prendano spunto dall’ottimo Warframe, completamente gratuito e capace di offrire centinaia di ore di divertimento da soli e in compagnia senza obbligare alle microtransazioni. Il modello attuato da Digital Extremes, a nostro modo di vedere, è quello che i live services tripla A dovrebbero adottare se non vogliono che l’esperimento gli esploda in faccia. Una piattaforma giusta e accogliente per ogni tipologia di giocatore, che invogli a spendere non in modo aggressivo ma attraverso una crescente fidelizzazione.
In ogni caso, essendo realisti, ci aspettiamo che le prossime uscite blockbuster solleveranno polveroni a causa di modelli economici pay to win e prezzi pieni, con pochi contenuti al lancio e il resto bloccato dietro season pass e DLC, un po’ come Destiny 2 e Battlefront 2. Imparare la lezione è complicato quando si guadagnano 4 miliardi di dollari annui in microtransazioni. Tuttavia non disperate: finché il popolo dei core gamer continuerà a reagire in modo secco e rapido alle pratiche predatorie attuate nei live services, magari iniziando a boicottare azienda per azienda, i publisher saranno obbligati quantomeno a correggere il tiro (ved. Battlefront) e rivalutare le proprie strategie. Alla fine della fiera si ricade sempre nello stesso concetto. Si vota con il portafogli, l’unico metodo effettivo di far capire le nostre ragioni a un interlocutore altrimenti sordo. Lunga vita al gaming, breve vita ai servizi live.