L’emulazione è un argomento alquanto spinoso che, allo stesso modo della pirateria, non ha mai smesso di dividere il pubblico videoludico. In molti la considerano una pratica immorale, altri sostengono che non c’è niente di male se si possiedono console e giochi emulati. Come al solito la verità sta in mezzo. Chiariamolo sin da subito: l’emulazione di per sé non è illegale. Lo diventa, se si distribuisce codice protetto da copyright o lo si modifica senza autorizzazione. Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, l’uso generico a scopo ludico non viola alcun tipo di norma legislativa europea. Se ciò sia eticamente corretto è tutto un altro discorso.
Il problema non riguarda l’esistenza stessa degli emulatori ma l’utilizzo che se ne fa. Nel corso degli anni abbiamo visto innumerevoli software open source sviluppati con l’intento di preservare i pilastri del retrogaming, specie per quanto riguarda le console risalenti agli anni ’80 e ’90. Addirittura molti di questi programmi, ad esempio ePSXe, non includono il BIOS appunto per non violare EULA e termini commerciali dei vari publisher. In diverse circostanze gli stessi publisher hanno tratto benefici economici dall’emulazione, in primis Nintendo che, prima pubblicando ROM nude e crude sul suo store digitale e poi commercializzando il NES Mini (emulatore limitato ma legale), si è assicurata una larga fetta di guadagni da uno dei settori più grigi e controversi del gaming. Inutile cercare di distruggere la pirateria, bisogna invece cercare di competere con essa. E almeno questo il colosso di Kyoto sembra averlo recepito.
Anche perché indire una caccia ai pirati e agli sviluppatori incriminati della creazione di tali software sarebbe un vero spreco di tempo e risorse. Il guadagno? Nullo. Anzi, probabilmente, ci rimetterebbero pure, dal momento che l’inasprimento delle norme provoca soltanto ulteriore pirateria, la quale in svariate occasioni ha addirittura contribuito ad aumentare -stando ad uno studio condotto dal governo svizzero- le vendite di determinati prodotti. L’emulazione, in ogni caso, dovrebbe rappresentare una sorta di ultima spiaggia per il consumatore. Quando una casa smette di vendere certi prodotti l’unico metodo per recuperarli è rivolgersi ai siti di e-commerce come eBay. L’usato, però, non aiuta publisher e sviluppatori. Al momento per acquistare classici usati del calibro di Final Fight 3 o Ninja Warriors servono più di 500€, una spesa improponibile persino ai collezionisti. In nostro soccorso arrivano le virtual console, ennesimo metodo di emulazione legale, eppure il parco titoli disponibile lascia ancora a desiderare.
C’è poco da dibattere in tal senso. Nintendo non produce più N64, Sony e Microsoft hanno smesso di vendere PS2 e Xbox. L’emulazione funge da tramite fra il giocatore e i titoli fuori produzione, quelli che ormai non fruttano più niente al distributore. Ma cosa succede quando un emulatore compete direttamente con un’azienda interferendo nel suo piano di marketing? Ecco che si scade nell’immoralità. Avrete di sicuro sentito parlare di Cemu, l’emulatore per Wii U creato in modo non proprio limpido da un anonimo team che ha per giunta aperto una pagina Patreon con la quale guadagna ben 25.000 dollari al mese. Questa mossa danneggia direttamente Nintendo, nonostante l’azienda giapponese abbia cessato la produzione di Wii U lo scorso 31 gennaio. Il danno più evidente giunge dal supporto nella versione 1.7 di The Legend of Zelda Breath of the Wild, attuale system seller di Switch venduto a prezzo pieno anche su Wii U. Si tratta di un precedente abbastanza grave e non ci stupiremmo più di tanto se il publisher nipponico decidesse di intraprendere azioni legali contro Team Cemu.
Come detto in precedenza l’emulazione dovrebbe rappresentare l’ultima spiaggia per i giocatori desiderosi di rivivere titoli su console non più disponibili sul mercato in via ufficiale. Quando si fa concorrenza sleale a scopo non di preservare l’ambiente del retrogaming bensì di lucrarci, la legge dovrebbe intervenire in modo netto e preciso. Quale peggior pirateria che rendere disponibile l’emulazione di una console e di titoli ancora in vendita sfruttando l’enorme successo commerciale di una killer app per guadagnare migliaia di dollari al mese? Sono donazioni, è vero, ma ciò non toglie che il comportamento adottato da Team Cemu sia scorretto e l’utilizzo di ROM illegale, almeno negli Stati Uniti. Il nostro appello non può che essere il seguente: emulate solo in casi strettamente necessari, vale a dire se avete copie originali del software oppure se è impossibile reperirlo tramite canali ufficiali. Supportate l’emulazione giusta e pulita e non lasciatevi tentare dall’infame vessillo nero.