Close to the Sun – Recensione

1897. Rose Archer è una giornalista, e la sua sorellina Ada è una scienziata. Le doti intellettuali di quest’ultima le permettono di accedere alla Helios, la più grande nave mai costruita dall’uomo, fatta costruire da nientemeno che dal più ricco uomo sulla Terra, il geniale Nikola Tesla, inventore della miracolosa corrente elettrica alternata, nonché proprietario della Wardenclyffe, il più grande distributore mondiale di energia elettrica, con buona pace di Thomas Edison, il quale preferiva la corrente elettrica continua. Ma battibecchi da elettrotecnici a parte, la gigantesca Helios è stata costruita con uno scopo, ovvero ospitare le più grandi menti brillanti del mondo affinché possano compiere le proprie ricerche lontano dai finti moralismi della gente comune e tentare di cambiare l’umanità in meglio. Ma pare che tutto sia destinato a cambiare quando Rose, impersonata dal giocatore, riceve una lettera dalla propria sorella che la invita a salire sulla Helios, e una volta a bordo, capisce immediatamente che c’è qualcosa che non va. La nave al suo arrivo pare infatti essere totalmente disabitata, ma la scritta “quarantena” fatta col sangue sul portone d’ingresso non lascia alcun dubbio: qualcosa di molto grave è successo. Spetterà dunque a noi il compito di salvare la propria sorella e scoprire cosa è successo, e quindi scappare il più lontano possibile. Peccato che il cattivo Tesla abbia intenzioni ben diversi, e farà tutto per mettere i bastoni tra le ruote…

Benvenuti sulla Helios!

Close to the Sun è un horror story-driven, ma diciamo già fin da subito che di horror non ha praticamente nulla. Sebbene le atmosfere iniziali siano inquietanti, per via dei corpi mutilati, il sangue, le strane visioni del passato che possono essere viste e ascoltate, non ci vuole molto per capire che di inquietante non ha nulla e sia praticamente tutto finto, e a parte qualche spavento dato da qualche scriptato jump scare, la tensione si affievolisce tantissimo fino a smorzarsi del tutto entro la prima ora di gioco.

Questo è anche merito della radio walkie talkie che abbiamo fin dall’inizio, con la quale ci mette in contatto con molti dei personaggi in gioco, la sorella di Rose, l’antagonista Tesla, e Aubrey, un povero ricercatore un po’ matto rimasto imprigionato in una sala dei bottoni, il quale farà di tutto per aiutare e guidare la protagonista, dirottando la corrente nei settori giusti e aprendo o chiudendo le porte. Forse l’avrete già capito, ma alla fine la stragrande maggioranza dei dialoghi avviene proprio tramite questo walkie-talkie, e purtroppo i dialoghi risultano essere alquanto blandi, poco incisivi, a volte anche poco attinenti alle situazioni. Va detto che il doppiaggio italiano è ben fatto e molto pertinente, il problema è proprio insito in ciò che viene detto in queste brevi scambi di battute.

Ma il vero colpevole della scarsa atmosfera è proprio rappresentato dai pericoli mortali. Tralasciando quelli ambientali di natura elettrica, non ci vuole molto per capire che morire è praticamente impossibile, e i nemici mortali con cui si avrà a che fare appariranno solo in determinate sequenze di inseguimento, le quali prevedono che il giocatore cominci a correre a più non posso lungo un corridoio con degli ostacoli da saltare col giusto tempismo e dei bivi, e il difficile sta appunto nel capire quale sia la giusta direzione da prendere in base agli indizi circostanti, il tutto fino a raggiungere una determinata zona sicura. Dunque, saranno (quasi) del tutto assenti sessioni simili ad Amnesia o ad Alien: Isolation, dove il giocatore deve cercare di essere furtivo per non destare sospetti verso un nemico che bazzica nell’area. E quel quasi, messo persino tra parentesi, indica che sì, c’è un momento nel gioco dove non bisogna farsi vedere e aggirare il cattivo di turno, ma è una sessione che dura il tempo di scendere una rampa di scale. Che tali sessioni non siano presenti sia un bene o un male, non sta a noi deciderlo, ma cionondimeno si sente davvero la mancanza in determinate occasioni di pericoli del genere, così come di un inventario da gestire con erbe mediche o altre chincaglierie del genere, che renderebbe profittevole esplorare i livelli alla ricerca di risorse, mentre ciò che si può trovare al più deviando dal percorso prestabilito sono gli immancabili collezionabili (e al momento ricordiamo che l’Epic Games Store, di cui il gioco è esclusiva, non supporta nemmeno gli achievement, quindi al contrario dei nostri cugini su console, nemmeno questa soddisfazione si potrà avere raccogliendoli tutti), che non aggiungono niente in termini di gameplay né nella narrazione.

Purtroppo, nemmeno gli enigmi risultano essere particolarmente esaltanti, e il tutto si riduce a trovare la giusta chiave per aprire la giusta porta, o il giusto documento con annotata la combinazione con cui aprire la cassaforte o porta che sia, e di solito sono elementi che si trovano nella stanza affianco a tali ostacoli. L’unico enigma che poteva essere degno di nota in realtà s’è rivelato essere non fondamentale per il prosieguo della storia, bensì un semplice messaggio di complimenti da parte degli sviluppatori per averlo risolto.

C’era una volta in mezzo al mare…

Seppure la storia parta in maniera più che dignitosa, con la sua dose di mistero che coinvolge spionaggio industriale, esperimenti andati a male, scoperte scientifiche sensazionali, a fine gioco si mostra per ciò che è, ovvero inconcludente. Gran parte dei misteri e delle vicende che vengono presentati non vengono assolutamente sviluppati, facendoli dunque nascere per farli poi giacere in un limbo narrativo da cui non verranno più ripescati. Anche il finale stesso sfocia in un cliffhanger, che risulta essere solamente odioso, perché appunto ci si aspettava che almeno venisse data una risposta alle tante domande aperte anziché finirne con un’altra, anche se il dubbio che Close to the Sun 2 sia già un’idea stampata su carta e che possa rispondere a tutte queste domande c’è. Si può dire lo stesso anche per tutti i personaggi coinvolti con cui si avrà a che fare lungo il pellegrinaggio sulla Helios, essi infatti non vengono minimamente approfonditi, né tantomeno sviluppati, nonostante ciò che dicono e ciò che fanno dimostrano che ne avrebbero un gran bisogno. Anche solo per citare il personaggio storico di Nikola Testa, la cui storia è tanto affascinante quanto misteriosa, in quanto molti suoi trascorsi non sono stati mai svelati, sarebbe stato alquanto interessante se gli sviluppatori avessero preso ago e filo metaforici e ne avessero intessuto con le proprie interpretazioni questi periodi oscuri e ignoti, sebbene in giro per il gioco ci siano varie documentazioni che mostrano e spiegano molte delle sue invenzioni, vere e non, attribuite a esso.

Close to the Sun è comunque un titolo che si può concludere in un paio di sessioni, in quattro o cinque ore, a meno che non rifacciate il gioco per ripescare tutti i collezionabili, longevità in verità leggermente gonfiata a causa dell’andatura lenta della protagonista, e non pensiamo di dire un’iperbole se dicessimo che ella quando cammina si muove alla stessa velocità che negli altri giochi equivale a quando si è accucciati, con il risultato che, a parte le battute iniziali in cui si vuole esplorare ogni singolo anfratto alla ricerca di qualunque cosa possa destare la propria attenzione, si finisce con il giocare col dito incollato al tasto shift. E no, per correre shift è e shift rimane, perché per qualche strana ragione non è possibile modificare i comandi, ma fortunatamente comprendono solo poche azioni, giusto muoversi, interagire, saltare (il quale è utile solo in un paio d’occasioni in tutto il gioco), correre e zoomare la visuale.

…una bella nave da settordicimila tonnellate

Dal punto di vista grafico, ci troviamo di fronte all’Unreal Engine 4, motore che non ha bisogno di alcun tipo di presentazione. Esso è stato sfruttato bene sul fronte visivo, con una pulizia visiva in generale molto buona e con texture di buona qualità, così come le scritte sulle varie superfici sono davvero chiare e leggibili, mentre sul fronte delle performance, purtroppo ci sono più ombre che luci. Con un sistema dotato di un i5 4690k @3.50GHz, una GTX 980 con 4GB di VRAM e 16 GB di RAM, il gioco non s’è comportato come avremmo voluto, con fenomeni di stuttering un po’ troppo frequenti, così come un frame rate abbastanza traballante difficile da mantenere sui 60fps, se non in situazioni peculiari. Solo nell’atrio principale della Helios, che è probabilmente la zona più pesante del gioco, la media era all’incirca di 45fps, il che, dato che è l’inizio del gioco, non è sicuramente un buon biglietto da visita. E questo impostando il gioco con tutte le impostazioni ad Alto (che si limitano alla qualità degli effetti, delle ombre e delle texture, nient’altro) e con la risoluzione standard 1080p, in quanto a Molto Alto il frame rate risultava essere ancora inferiore e abbiamo voluto evitare di giocare in queste condizioni, anche se, fortunatamente, visto il ritmo del gioco e al fatto che gli incontri mortali si contano sulle dita di una mano, alla fine non sarebbe stato un gran problema. Viceversa, scalando verso il basso, impostando dunque a Medio o a Basso i dettagli, si ha un bel boost negli fps, che viaggiano attorno ai 70-80 nel primo caso, e dagli 80 in su nell’ultimo, toccando in alcune fasi anche i 100fps.

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