Il rapporto tra indie e tripla A al giorno d’oggi

Tripla A e indie: due facce della stessa medaglia, due modi di intendere i videogiochi spesso fortemente conflittuali, due filosofie divise nel profondo da molto più che un semplice budget.
Il pensiero comune, sbagliando, tende ad associare il termine ‘tripla A’ a caratteristiche ben definite, in prevalenza positive, riguardanti l’aspetto esteriore del gioco, la sua longevità e una pulizia degna dell’etichetta, mentre l’aggettivo ‘indie’ racchiude non di rado proprietà sub-ottimali come comparto tecnico arretrato, inconsistenza e scarso controllo qualità.
In questo speciale cercheremo di spiegare perché bisogna rottamare certi preconcetti dettati dalla disinformazione spingendosi oltre le mere apparenze, con un’analisi delle meccaniche interne al mercato videoludico odierno.

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Dicevamo che in troppi bollano a prescindere gli indie come prodotti di seconda fascia non meritevoli di attenzioni da parte di pubblico e critica, focalizzati sui soliti 3-4 titoli AAA a cadenza annuale in grado, grazie al marketing aggressivo, di catturare milioni di utenti.
La maggioranza dei detrattori del gioco indipendente sta ovviamente su console, dove gli store proprietari si sono aperti alla pubblicazione di titoli minori solo di recente a causa della penuria di idee dei grandi team di sviluppo che ha portato all’enorme numero di remaster e remake in circolazione.
Su PC, invece, gli intenditori abbondano e una cerchia non indifferente di indie venduti da Steam si conquista gli onori della cronaca in seguito alle valutazioni positive ottenute nonché al passaparola dei giocatori, strumento di vendita indispensabile in assenza di vere e proprie campagne pubblicitarie.
Ciò comporta vantaggi non indifferenti per l’utenza, adesso forniti di un’alternativa validissima al monopolio dei tripla A dai prezzi gonfiati talvolta ingiustamente da Season Pass e microtransazioni, ma anche per gli sviluppatori.

ubisoft

L’indipendenza comporta sacrifici, è risaputo, tuttavia al giorno d’oggi essere indie conferisce ai piccoli team una serie di agevolazioni inconcepibili fino ad un decennio fa.
Innanzitutto l’affermazione del crowdfunding (Kickstarter, Indiegogo, Patreon, etc.), sistema meritocratico che ha ultimamente dato vita a gioielli altrimenti irrealizzabili tra cui Prison Architect ed Elite: Dangerous, giusto per citarne qualcuno; poi i canali di distribuzione, ad esempio Steam, GOG, itch.io e quant’altro, tutti con un’ampia base di pubblico ben disposto a supportare le idee innovative; la flessibilità del processo di sviluppo, soprattutto vista la presenza di strumenti forse anche troppo developer friendly come l’Early Access i quali permettono, tra le altre cose, il contribuito diretto della community; infine la totale libertà creativa scaturita dalla mancanza del giogo dei publisher, a volte talmente pressanti da rendere infernali i lavori su un titolo.
Per questo motivo di recente abbiamo assistito a diverse separazioni dalla casa madre di sviluppatori piuttosto rinomati tra cui Brian Reynolds, Keiji Inafune, Cliff Bleszinski, Jade Raymond e David Goldfarb, passati all’altra “sponda” per ragioni di incompatibilità con i loro precedenti datori di lavoro e voglia di dare nuova linfa alla propria carriera.

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Non che lavorare per Ubisoft o Electronic Arts sia uno spreco di tempo e talento, sia chiaro, anzi si tratta di uno step agognato dai curriculum e dalle tasche di milioni di piccoli team, con grandi probabilità di contribuire alla creazione di pilastri dell’industria con cifre a sei zeri del calibro di Uncharted, Halo e Zelda.
Tuttavia non sono i budget a rendere straordinario un videogame, e lo dimostrano studi microscopici composti da 4 o meno elementi con i loro ambiziosi progetti, dall’immenso No Man’s Sky al piccolo ma strabiliante Undertale senza contare la miriade di titoli creati con Unity e Unreal Engine.
Finché ci saranno fantasia e passione la differenza tra giochi indie e tripla A rimarrà circoscritta all’aspetto tecnico sicuramente più avanzato di questi ultimi, frutto del lavoro coordinato di team composti da centinaia di programmatori esperti a fronte di una concorrenza in chiara inferiorità numerica ed economica.
E fintanto che questa rimarrà l’unica diversità riscontrabile da noi giocatori, si potrà ben sperare in un futuro ricco di lustro per il nostro medium preferito.

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1 commento su “Il rapporto tra indie e tripla A al giorno d’oggi”

  1. Non so voi, ma quando mi parlano di Indie, dicendo che il fatto che ci lavorino poche persone possa danneggiare la qualità del titolo mi chiedo “Ma all’alba del periodo del videogioco, i primi giochi su PC e su Console come NES non erano fatti da pochi membri, grande esempio Kid Icarus?”
    Non viene quasi più considerato il concetto base del videogioco, Ovvero quello di Intrattenere e Divertire, ma quasi ad una costante ricerca della bellezza apparente e della notorietà dei titoli.
    Non sono contrario all’avanzamento tecnologico, non intendo dire questo, ma vorrei che la grafica, la giocabilità, la storia, il sonoro e tutte queste cose che formano l’opera videoludica possano crescere di pari passo ognuna di esse, riunendosi sempre nel fattore Divertimento.
    Se si trova un titolo, che sia Indie, tripla A o solo due Q, che vi è piaciuto bisogna condividerlo. Tramite o scambio di esperienza tra videogiocatori, e non per il trailer bello mostrato all’E3.

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