Da quando gli open world sono diventati un genere a tutti gli effetti, per giunta di tendenza, Ubisoft ha scelto di cavalcare la cresta dell’onda con il rilascio di numerosi titoli rientranti nell’ormai virale categoria. Il risultato, nella stragrande maggioranza dei casi, è stato insoddisfacente. Abbiamo sì mappe enormi, belle da vedere, colme di missioni ed obiettivi, ma anche un senso di noia e ripetitività che si palesa già dalle prime ore di gioco a causa dei contenuti per niente vari e appaganti di cui questo tipo di produzioni viene spesso riempito. Wildlands, purtroppo, non fa eccezione. Non importa se nella prima parte del titolo appaia l’immortale sigla ‘Tom Clancy’s Ghost Recon’, perché di diverso rispetto ai vari Watch Dogs e Far Cry della situazione c’è ben poco e mancano addirittura gli elementi tattici e strategici tipici del franchise di appartenenza. Allora cos’è di preciso questo Wildlands?

Di base è uno shooter open world con visuale in terza persona ambientato nelle vaste zone selvagge della Bolivia. L’intreccio si svolge ai giorni nostri in una sorta di realtà parallela che vede i principali esponenti del Cartello messicano trasferirsi in pianta stabile nella suddetta regione sudamericana ed instaurare una sorta di regime della droga. A contrastarli un team di spettri capitanato dall’alter ego del giocatore, Nomad, personalizzabile a piacimento tramite l’apposito editor, e il coordinatore CIA Karen Bowman. L’obiettivo, come in ogni sparatutto militare moderno che si rispetti, è sterminare il cattivone di turno, stavolta un omone latino con svariati tatuaggi facciali chiamato El Sueño, e dimostrare la superiorità culturale e genetica del popolo americano sul resto del mondo. Se cercate approfondimenti psicologici, politici o semplicemente una trama godibile tenetevi pure alla larga. Se invece agognate cliché, personaggi anonimi, dialoghi aberranti, propaganda yankee e prevedibilità siete nel posto giusto. Wildlands mette la ‘r’ nella parola ‘generico’ proponendo una delle storyline più flebili, monotone e dozzinali da qualche anno a questa parte, persino per gli standard di Ubisoft.

Ma i veri problemi risiedono altrove. Il motivo principale per cui Wildlands non funziona, a nostro parere, è che la struttura di gioco ricalca grosso modo le controparti MMO (a tal proposito The Division sarebbe un esempio calzante) offrendo fin dall’inizio un’esperienza dispersiva e priva di varietà. Le missioni sono strutturate in modo da poter essere completate nell’ordine prediletto dal giocatore, ed ognuna delle principali prevede l’eliminazione dei tenenti di El Sueño con varie ramificazioni corrispondenti alle raccolte di intelligence per individuare i bersagli altrimenti nascosti. Eliminati abbastanza criminali si accede alla boss fight finale con il re del Cartello in persona. Arrivarci, però, significa aver superato decine e decine di missioni tutte praticamente uguali fra loro. Avete presenti gli obiettivi da svolgere in Just Cause 3 e Mad Max? Qui la varietà è simile ma il numero è di gran lunga superiore. La routine consiste generalmente in compiti mondani come distruggere convogli, recuperare risorse, difendere punti di controllo e conquistare avamposti. Il tutto ripetuto fino allo sfinimento, con in più la beffa di dover ripetere da capo le missioni in caso di fallimento respawnando a chilometri di distanza.

E non dimentichiamo il marchio di fabbrica Ubisoft: i collezionabili. L’intera mappa ne è disseminata, a tal punto da sembrare in procinto di esplodere. Dovremo raccogliere punti abilità per potenziare armi ed equipaggiamenti, carburante, medicine, parti meccaniche, cibo (ognuno di essi necessario a sbloccare nuove skill), accessori ed informazioni utili al tracciamento di obiettivi secondari o addirittura altri collezionabili. Questi, per noi, non sono contenuti nel vero senso del termine ma filler, elementi riempitivi messi lì giusto per far numero e dare l’illusione che ci siano tantissime cose da fare. A poco serve il solido gunplay e l’ottimo menu di personalizzazione che permette di modificare praticamente qualsiasi componente di armi e gadget in totale libertà, se poi tutto all’interno del gioco è ottenibile pagando valuta reale nell’immancabile shop. A poco serve il flebile accenno alle tattiche nella gestione della squadra alleata (pochissimi e basilari comandi), specie quando l’intelligenza artificiale, sia dei nemici che dei compagni, rasenta il grottesco per un gioco di questa tiratura.

Meno male che, almeno in coop, le falle sullo scafo vengono coperte dalla coordinazione possibile in chat vocale grazie a cui Wildlands diventa decisamente più fruibile e, a tratti, divertente. Assegnarsi dei ruoli, dividersi in ricognizione, pianificare insieme le strategie: avere un team dedicato fa davvero la differenza. Il problema è che non tutti hanno 3 amici con tempo libero a sufficienza e pronti a spendere 60€ per un titolo del genere, quando peraltro con meno di 10 bigliettoni ci si può procurare la versione Gold di SWAT 4. Anche in cooperativa, comunque, gli innumerevoli problemi del gioco saltano all’occhio. Disturba in particolare il sistema di controllo di vetture ed elicotteri, precario ad esser generosi soprattutto se utilizzate mouse e tastiera. Guidare in Wildlands è un calvario e vi farà rimpiangere persino la mediocrità nello stesso ambito del primo Watch Dogs. Meno male che quantomeno il viaggio rapido funziona come dovrebbe ed è utilizzabile sin da subito, anche perché le dimensioni della mappa di gioco sono davvero titaniche.

L’ambiente naturale boliviano non è soltanto enorme ma anche dettagliatissimo e su PC il titolo Ubisoft mostra i muscoli con estrema fierezza. Il merito va al motore grafico Snowdrop, capace di riprodurre fedelmente tinte e caratteristiche orografiche del territorio lasciando poco al caso. Certo, la raffigurazione avrebbe potuto essere migliore sul versante città e abitanti, che non appaiono per nulla vivi né realistici, tuttavia ad una visione d’insieme il lavoro tecnico svolto dallo studio francese merita un plauso. Straordinaria la draw distance, profonde e corpose le ombre, realistico il sistema d’illuminazione e curatissime le texture. Vegetazione e terreno, poi, presentano un livello di cura maniacale. Nel complesso, veramente un bel vedere. Bene anche per il sonoro, grazie soprattutto ai suoni realistici di armi e veicoli in grado di amplificare notevolmente l’immersione, intaccata però in parte dalla moltitudine di bug presenti. Chiudiamo parlando di ottimizzazione. Con la nostra GTX 970 siamo riusciti a mantenere un framerate di 50-55 senza bruschi cali a settaggi molto alti, riducendo solo la distanza di visuale FOV al 70% e disattivando alcuni effetti di post processing come subsurface scattering, turf di Nvidia e god rays; abbiamo però riscontrato frequenti episodi di stuttering e singhiozzi nelle aree più ricche di dettagli. Tenete presente che se volete superare i 60fps @1080p con preset molto alti avrete bisogno almeno di una Titan X Maxwell; se giocate in 2K, una GTX 1080. Per il 4K bisognerà possedere una Titan X Pascal e non aspettatevi di poter attivare i settaggi ultra.

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A dispetto del brillante comparto tecnico e dello shooting abbastanza solido, Ghost Recon Wildlands pecca malamente in ogni altro settore. Continua il trend di produrre con lo stampino degli open world zeppi di niente che riescono ad annoiare già dopo qualche ora, purtroppo fortemente deleterio per il genere stesso. Cos’abbia a che vedere Wildlands con la serie Ghost Recon di Tom Clancy, poi, rimane un mistero. Manca la tattica, manca la varietà, manca il game design. Il verdetto finale è, come prevedibile, negativo. A meno che non abbiate 3 amici a disposizione e una pazienza sovrumana, non vi consigliamo assolutamente di acquistare questo titolo. Forse è giunto il momento di tornare alla linearità.

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