Anche chi non ha mai giocato a un Senran Kagura ne avrà sicuramente sentito parlare, o come minimo avrà avuto modo di guardare trailer e video di gameplay. Il perché ci sembra ovvio, d’altronde si tratta di una serie talmente singolare e spesso comica in modo involontario da essersi conquistata una buona tranche di appassionati, soprattutto in madrepatria. Con Peach Beach Splash, spin-off di cui parleremo oggi, il franchise giunge alla sua ottava iterazione e lo fa cambiando leggermente il genere di appartenenza. Da action hack and slash passa per l’occasione a sparatutto in terza persona, con l’aggiunta di elementi ruolistici sotto forma di carte collezionabili. Ma se la struttura di gioco ha subito un ampio mutamento, tutto il resto è rimasto perfettamente uguale e gli amanti del fan service ne saranno senz’altro felici.

La premessa narrativa di Peach Beach Splash non tradisce le origini della serie e mette subito in primo piano i corpi seminudi delle avvenenti protagoniste. Le Shinobi, infatti, vengono misteriosamente trasportate su un’isola e invitate a partecipare a una gara a squadre di shooting con pistole ad acqua, trasmessa in diretta mondiale sul canale NewTube. La modalità storia è suddivisa in quattro sezioni, una per team di Shinobi, durante le quali vengono presentate alcune piccole sottotrame che approfondiscono le interazioni tra ninja. Ovviamente non aspettatevi nulla di serio e profondo, visto il focus maniacale (mai termine fu più calzante) su tette, culi e la vasta gamma di riferimenti sessuali di medio-basso livello a cui Marvelous ci ha abituati, insieme alla valanga di citazioni ai titoli precedenti.

Oltre allo story mode abbiamo delle missioni secondarie racchiuse in episodi, una modalità torneo e una survival, a orde; presente anche l’online, che però non abbiamo potuto provare avendo ricevuto la nostra copia review una settimana prima del lancio. Le modalità, ad ogni modo, sembrano sufficientemente varie, sebbene in ognuna di esse l’obiettivo sarà principalmente il medesimo, vale a dire imbracciare l’arma prediletta e sconfiggere i nemici con violenti spruzzi d’acqua. Di tanto in tanto troviamo delle piccole variazioni alla formula, ad esempio obiettivi a tempo e mini-puzzle, tuttavia la meccanica fondante su cui si basa il gameplay di Peach Beach Splash è lo shooting. Le manovre a nostra disposizione sono poche, anche se in linea di massima funzionano bene. Potremo contare su sparo in modalità semi o automatica a seconda dell’arma, scatto in scivolata, attacco corpo a corpo, salto e volo temporaneo grazie al jetpack. Ognuna di queste azioni -eccetto il melee- consuma acqua, che può essere recuperata velocemente (e con un gesto abbastanza equivoco) tenendo premuto il tasto per la ricarica, addetto peraltro alla rianimazione delle compagne cadute.

Una volta colpito il nemico a sufficienza, avremo la facoltà di umiliarlo attraverso una finisher degna di questo nome. La telecamera passerà alla prima persona e ci verrà chiesto di mirare a specifiche parti del corpo della vittima, cioè testa, petto e fondo schiena. Negli ultimi due casi i relativi pezzi del costume scivoleranno via rivelando le grazie della malcapitata, per la scienza e per la gioia degli utenti birichini. Simpatica anche la meccanica di “inzuppamento” grazie a cui beneficeremo di un power up ogniqualvolta i danni subiti supereranno una certa soglia, oppure quando colpiti dal fuoco amico (nonostante l’IA sia piuttosto inaffidabile in tal senso). Segnaliamo inoltre la presenza di abilità speciali rappresentate da carte, rinvenute in pacchetti dati in premio alla fine delle missioni e attivabili in combattimento al costo di un breve cooldown. Sarà possibile trasformare i duplicati in esperienza con cui livellare personaggi, armi e carte stesse.

In teoria sembra una struttura fluida e divertente, e in parte lo è, tuttavia non mancano i punti deboli. A partire dalla legnosità di certe animazioni, che si traducono in movimenti poco fluidi, fino alla completa inutilità dell’attacco corpo a corpo, dotato di una recovery troppo lunga. Inoltre gli spruzzi delle armi sono talmente esagerati da nascondere almeno il 70% dell’obiettivo mirato, rendendo i combattimenti eccessivamente caotici e imprecisi. Per finire il comparto tecnico, che per quanto vivace e colorato mostra limitazioni da old gen, a partire dal marcato aliasing, dalla povertà di dettagli e dal lock a 60 fps. Si tratta di difetti, specie quelli meccanici, che non compromettono del tutto l’esperienza di gioco ma, sommandosi al basso numero di manovre a disposizione e alla ripetitività di fondo nella struttura delle missioni, lo fanno risultare alla lunga un tantino tedioso.

Per fortuna a spezzare la monotonia ci pensa la personalizzazione, rigorosamente alla giapponese. Nella sezione spogliatoio, infatti, si può vestire/svestire a piacimento ogni Shinobi, modificare il colore di abiti, capelli, accessori e creare dei diorama con pose variabili. Eventuali oggetti extra vengono offerti nell’apposito negozio che accetta sia la valuta del gioco sia quella reale. Microtransazioni a sfondo cosmetico, dunque, ma in ogni caso fuori luogo come in ogni titolo venduto a prezzo pieno. Se non altro, sempre nello spogliatoio, ci si potrà sbizzarrire con le protagoniste in modi alquanto perversi, ad esempio palpeggiandole, spruzzandogli acqua addosso e addirittura baciandole sulle labbra alla fine di un minigioco erotico di gusto discutibile. Senran Kagura, signore e signori.

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