A prima vista Rain World può sembrare l’ennesimo platform metroidvania in 2D, un genere che recentemente spopola su Steam. Invece la produzione di Videocult, pubblicata da Adult Swim Games, nasconde un aspetto alquanto singolare che non era saltato all’occhio dai vari trailer precedenti l’uscita, ovvero la componente survival, il vero cuore del titolo. Sulla carta si tratta di un elemento molto promettente e di sicuro insolito rispetto al genere a cui appartiene, di certo più focalizzato sull’azione e sul piacere dell’esplorazione che sulla mera sopravvivenza. Vediamo se gli sviluppatori sono riusciti ad amalgamare al meglio le varie caratteristiche per fornire un’esperienza unica e divertente.
In Rain World interpretiamo la singolare creatura bianca definita “Slugcat”, una sorta di furetto gelatinoso separatosi dal branco a causa di un forte acquazzone che lo ha spinto nelle profondità del sottosuolo. L’obiettivo consiste semplicemente nel farlo riemergere e raggiungere gli altri superando svariati ostacoli ambientali e i pericoli di flora/fauna locale. Il come, però, non risulta chiaro fin dall’inizio. L’assenza di dialoghi e indicazioni testuali spinge a curiosare, sperimentare, sbagliare, e in ultimo le meccaniche diventano comprensibili. Dovremo in sostanza muoverci attraverso strettoie spesso comunicanti con le stanze adiacenti e cibarci di frutta o piccoli insetti per poi, a pancia piena, tornare al più vicino punto di ibernazione al fine di avanzare al giorno successivo e salvare i progressi. Questo serve principalmente perché le nuove aree da esplorare richiedono un certo numero di ibernazioni (conteggiate dal simbolo in basso a sinistra) per essere sbloccate e, dunque, visitate.
La struttura avrebbe senso e garantirebbe un buon senso di progressione se solo non fosse ripetuta in modo quasi martellante. Accedere alla zona successiva richiede almeno 3-4 cicli di caccia al cibo e letargo, durante i quali la morte comporta il ritorno alla sessione precedente. In poche parole, se vi manca un ciclo per avanzare alla prossima area e morite, ve ne serviranno due. Il problema è acuito dalla proceduralità di gran parte delle componenti del gioco, cosa che impedisce l’entrata in scena del trial and error. La locazione di cibo, oggetti e nemici è infatti randomica. Forse la scelta degli sviluppatori voleva essere indirizzata alla creazione di imprevedibilità nelle routine, fatto sta che gli unici effetti generati sono noia e frustrazione. Trovarsi a percorrere le stesse identiche strade in un incessante andirivieni con il rischio di dover ripetere il tutto moltiplicato per due in caso di morte si rivela presto un forte deterrente, peraltro non necessario nell’economia del titolo. E si muore spesso, vista la pericolosità dei predatori, che oneshottano quasi sempre ma incassano decine di colpi prima di arrendersi. Senza contare la pioggia killer che farà capolino di tanto in tanto se ci si dimentica di ibernarsi, una sentenza di morte pressoché inevitabile.
Un peccato, considerata l’incredibile cura con cui è realizzato tutto il resto. A partire dalle ambientazioni ricchissime di dettagli e piene di vita, le quali sfoggiano un look a 16bit davvero elegante nel loro degrado tematico. Le stanze sono altresì zeppe di piattaforme da utilizzare in modo oculato pena la caduta nel vuoto, e di oggetti da raccogliere (lance, mattoni, ingranaggi) per usarli a mo’ di arma contro eventuali predatori. Nemici, appunto, unici nel proprio genere grazie alla sopracitata proceduralità che gli dona un aspetto sempre differente e li rende difficili da prevedere, anche se non di rado impazziscono rotolando su se stessi o incastrandosi in alcuni passaggi. Piccole storture a parte, del comparto tecnico e artistico c’è solo da parlar bene. Le animazioni e i movimenti appaiono fluidissimi, piacevoli, la varietà degli scenari sorprende, la fisica convince ed infine gli effetti sonori accompagnano ottimamente l’esplorazione.
Purtroppo però non stiamo parlando di un’avventura interattiva e il gameplay riveste un ruolo fondamentale. Rain World, da quel punto di vista, delude sprecando in modo banale le sue enormi potenzialità. A meno che non apprezziate le esperienze dalla difficoltà punitiva (ingiusta in prevalenza) e riusciate a passare sopra l’estrema ripetitività di fondo, il prodotto di Videocult non fa per voi. Rimane interessante, senz’altro, ma decisamente per pochi. Ci auguriamo che gli sviluppatori ne prendano atto e rilascino degli aggiornamenti in stile Slain per rattoppare le lacune.