Diciamo subito che forse il difetto maggiore di Prey è che è uscito un po’ in silenzio o comunque senza una adeguata campagna pubblicitaria dietro. Prey è infatti il gioco che molti stavano aspettando, ma che nessuno se ne rende conto. Esso infatti è il vero erede spirituale di System Shock 2, ma forse per i lettori più giovani dovremmo dire l’erede spirituale di Deus Ex, Dishonored e Bioshock messi insieme, in salsa fantascientifica. Cercheremo quindi di spiegare perché Prey è un perfetto candidato GOTY 2017, con una esaustiva recensione.

Il mio nome è Morgan

L’incipit narrativo di Prey è veramente semplice, quasi banale e telefonatissimo per molti. Ma mai come in questo caso le apparenze ingannano.
Quello che sembra un gioco ambientato in una gigantesca stazione spaziale, la Talos I, dove alieni (chiamati Typhon) di origine sconosciuta prendono il sopravvento uccidendo tutto e tutti quelli che incontrano, in realtà basta poco per capire che sotto c’è qualcosa di diverso.
Il protagonista (o la protagonista, a seconda della scelta del giocatore) è Morgan Yu, vice-presidente della TranStar, mega-corporazione con le mani in pasta in vari settori industriali, scientifici, spaziali, farmacologici e così via, nonché proprietaria della stessa Talos I, e il suo compito sarà quello di mettere a posto la situazione.
Ma della trama non ne parleremo ulteriormente, perché quella di Prey è alquanto articolata e piena di diversi colpi di scena, e merita di essere vissuta in prima persona. Tuttavia, non aspettatevi qualcosa di narrativamente imponente o preponderante: la trama di Prey va seguita vivendo le vicende a cui ci si troverà davanti pezzo dopo pezzo. Diciamo solo che Morgan ha un grave problema: ha perso la memoria a seguito di un esperimento, e non sa più chi sia né sa più di chi fidarsi, e spetterà il giocatore capire chi sia realmente, ma soprattutto, decidere chi sia attualmente in base alle scelte che farà, cosa che influenzerà pesantemente il finale del gioco. Si scoprirà quindi mano a mano qualcosa di più del protagonista parlando e aiutando i vari NPC ancora vivi nella stazione spaziale, e si verranno a conoscenza di numerosi particolari facendo i ficcanasi e leggendo le tantissime e-mail sui vari terminali e ascoltando le numerose registrazioni, ognuno dei quali celerà un tassello di un puzzle narrativo che il giocatore dovrà poi mettere insieme per ottenere il quadro completo della situazione. E fortunatamente, tutto ha un senso e una ragione d’esistere, compreso il criptico finale.

Questi maledetti alieni!

La TranStar è responsabile per aver creato una potente tecnologia di apprendimento chiamato Neuromod: grazie a particolari siringhe da infilarsi nell’orbita oculare con cui iniettare una sostanza neurale, è possibile quindi apprendere in pochi minuti cose che nella realtà richiederebbero mesi, anni, decenni per poter essere apprese a fondo.
Nell’economia di gioco, questo si traduce che le Neuromod sono veri e propri punti abilità portatili, e vengono usate per apprendere le diverse abilità che permetteranno al protagonista di sopravvivere ai Typhon. Si potrà quindi imparare a riparare meccanismi elettronici complessi, ad hackerare terminali o casseforti, a poter sfruttare i medikit con più profitto, oppure diventare abili a muoversi accucciati senza attirare l’attenzione e tanto altro ancora.
Apprendere le abilità si rivelerà fondamentale per poter combattere con profitto i nemici, perché, diciamolo subito, anche il più debole dei Typhon può avere la meglio sul protagonista incauto con facilità.
In Prey saranno infatti presenti una decina di tipologie di alieni diversi, ognuno con le loro abilità, i loro poteri e i loro punti deboli.
Giusto per fare un paio di esempi, il più piccolo è il Mimic (diventato ormai una vera e propria icona del gioco), una sorta di ragnetto a quattro zampe ma che può trasformarsi letteralmente in qualunque oggetto, mimetizzandosi con grande efficacia. Inutile dire che la maggior parte dei jump-scare saranno causati da questi mostriciattoli. Voi siete lì che state per raccogliere un medikit che sembra originale (e per rendere la cosa più verosimile, si illumina come qualunque altro oggetto che si può raccogliere e appare persino il tasto d’interazione), e tutt’a un tratto ritorna nella sua forma originale e vi attacca, peraltro facendovi malissimo. Non passerà tanto tempo prima che colpiate con la chiave inglese qualunque oggetto vediate. Sebbene pericolosi, non sono molto resistenti e vanno giù facilmente con qualche colpo di chiave inglese – la vostra migliore amica!
Poi ci sono gli Spettri, esseri umani morti (a molti Spettri apparirà persino il nome che avevano quando erano vivi!) ma rianimati e riconvertiti in Typhon, coriacei e dotati delle più disparate abilità, come la possibilità di creare esplosioni di fiamme o sdoppiarsi in due (ma solo uno è l’originale, l’altro solo una esca).
Tali poteri non saranno appannaggio dei soli Typhon, ma potranno essere acquisiti più avanti nel gioco e usati dal protagonista sfruttando un certo “monocolo” ipertecnologico chiamato Psicoscopio, usato per studiare gli alieni e investendo quindi le sudate Neuromod sulle rispettive abilità che via via si sbloccano osservando le creature attraverso questo apparecchio.
Studiando il Mimic si potrà quindi imparare il potere della metamorfosi, e quindi anche il protagonista potrà diventare un piccolo oggetto a piacere, che sia una tazza di caffè o una sedia, ma sbloccando il livello superiore si potrà perfino diventare una torretta automatica. Trasformarsi in un piccolo oggetto può apparire… imbarazzante, ma naturalmente un potere del genere permette di sbarazzarsi abilmente di grandi quantità di nemici che stanno dando la caccia al giocatore, oppure poter passare attraverso fessure di ristrette dimensioni per raggiungere aree inaccessibili e che richiederebbero altrimenti altre abilità o poteri.
Saranno presenti diversi poteri differenti, come la possibilità di creare shock psichici che oltre a ferire il bersaglio lo rendono incapace di usare i propri poteri; la rigenerazione permette invece al protagonista di recuperare dei punti salute dopo essere stato ferito; ma sicuramente l’abilità più macabra è quella di poter resuscitare gli esseri umani morti in Spettri che combattono al nostro fianco. Non mancherà infine una sorta di teletrasporto in salsa Dishonored, anche se non altrettanto versatile, ma che ha il pregio di creare un’esca per depistare i propri nemici, utilissimo per sfuggire da situazioni di netto svantaggio.

Il trofeo perfetto per il camino

Prey non è un FPS normale. Se giocaste Prey come un FPS caciarone qualunque, finireste solo per morire e vedere tante di quelle volte la schermata di caricamento dopo una morte da diventare fin da subito frustrante.
Questo perché Prey premia il giocatore che usa le proprie armi e i propri poteri in maniera efficace e creativa. Fin quasi da subito si metterà le mani sul Cannone GLOO, un’arma in grado di sparare una sorta di schiuma che a contatto con una superficie si espande e diventa dura come il cemento. Un’arma del genere si può usare con un po’ di inventiva per raggiungere zone elevate inaccessibili, oppure per bloccare momentaneamente i nemici per ottenere una manciata di secondi di vantaggio.
Ma anche l’ambiente può giocare un ruolo interessante nello sterminare alieni: le canoniche bombole di ossigeno esplosive sono alquanto efficaci, ma anche sparare a tubi del gas per fargli spruzzare letali fiamme (e poi aggiustarli usando il Cannone GLOO) è una tattica valida e molto redditizia, così come è possibile investire le neuromod in riparazione per fortificare torrette, oppure in hacking per evitare che si ritorcano contro (installare troppe abilità Typhon ha il difetto di far scambiare il protagonista per un alieno alle torrette automatiche).
Tuttavia, le armi in Prey non sono tantissime né molto efficaci, ma tutte hanno un loro perché e nel complesso sono molto ben bilanciate (persino l’arma più potente del gioco è efficace solo in determinate circostanze), e solo imparando a usarle nel modo appropriato, nonché potenziandole, si potrà sentirsi relativamente al sicuro dietro ai propri strumenti di morte. Per quasi tutta la durata dell’avventura infatti, si avrà la constante sensazione di essere malamente equipaggiati, complice anche il ristretto numero di munizioni disponibili. Ma anche verso la fine è praticamente impossibile (o comunque molto difficile) fare il Terminator di turno cercando di usare le sole bocche da fuoco senza almeno alternare qualche strumento incapacitante o i poteri Typhon.
Per sopperire alla mancanza di munizioni, nel corso del gioco si potrà raccogliere immondizia di vario, che se ne starà bellamente seduta nel comodo inventario a quadretti, almeno fino a quando non si raggiunge un riciclatore: queste macchine possono convertire questi oggetti inutili (ma anche quelli utili) in materiale base tra quattro diverse tipologie, per riutilizzarle nell’assemblatore, una vera e propria stampante 3D che potrà creare qualunque oggetto, dalle munizioni ai medikit, dalle armi a pezzi di armatura, a patto di aver trovato i relativi progetti. Un sistema di crafting semplice, efficace e snello, che dovrebbe essere preso da esempio da produzioni future.

Un monumento dello spazio

Talos I è una bellissima stazione spaziale, e come ogni stazione spaziale che si rispetti, anch’essa è composta da stanze e corridoi di ogni forma e dimensione, nonché da sottostazioni con il proprio scopo e il proprio motivo di esistere. Ma ciò in cui Talos I brilla è il level design intelligente che permea in tutto il gioco. Ogni situazione è infatti possibile risolverla in svariati modi, e l’unico limite è la propria fantasia o la mancanza di abilità specifiche. Ad esempio se un determinato passaggio è bloccato da un ostacolo pesante, si può spostare avendo l’apposita abilità, si può pensare di trovare una strada alternativa, oppure, se l’ostacolo è posizionato in modo da lasciare una piccola fessura, la si può sfruttare trasformandosi in un oggetto di dimensioni ridotte. Ma un’altra soluzione, sicuramente la più originale, è quella di usare la granata riciclante, uno strumento di morte che una volta lanciato, risucchia tutto ciò che ha attorno, ostacoli pesanti compresi, e li tramuta in comodi cubetti di materiale tascabile da usare poi nell’assemblatore.
Questo è un esempio basilare, ma nel corso del gioco di situazioni simili se ne incontrano a bizzeffe, e l’inventiva viene spesso premiata.
Naturalmente in un gioco ambientato in una stazione spaziale liberamente esplorabile (ma non da subito) sarà presente il famigerato backtracking, ma in Prey viene sfruttato in modo intelligente, perché con il proseguire dell’avventura la “minaccia” Typhon si fa sempre più pressante, e il rivisitare vecchie aree ha come effetto di ritrovarsi ad avere a che fare con nemici più cattivi e più forti, e spesso si esploreranno anche nuove aree che prima erano chiuse e inaccessibili. E poi, non può esistere gioco ambientato nello spazio senza dover affrontare sezioni a gravità zero, e Prey naturalmente non fa eccezioni, e lo fa quasi nel migliore dei modi, dandoci la possibilità di esplorare l’esterno di Talos I e raggiungere facilmente praticamente qualunque altro punto della mappa, a patto di aver aperto i rispettivi portelloni. I comandi per pilotare il protagonista in questo ambiente sono molto intuitivi, ma ciò non significa che sia semplice: senza gravità ci si muove per inerzia e sfruttando i propulsori montati sulla tuta, pertanto bisogna saper dosare bene i movimenti per evitare curve molto larghe oppure finire per andare a sbattere contro un ostacolo a grandi velocità e farsi male. Ma la cosa più importante dei viaggi spaziali è che non c’è bisogno di trovare l’ossigeno! Pertanto si potrà ammirare Talos I all’esterno di essa quanto si vuole senza dover badare a qualche timer nascosto.
E a proposito di timer, ci sono alcune missioni secondarie che vanno completate entro un tempo prestabilito. Non sono tantissime, e di solito il tempo dato a disposizione abbonda, pertanto non ci si sente mai col fiato sul collo. Di missioni secondarie comunque Prey ne ha in abbondanza, e sebbene alcune siano molto semplici e in apparenza banali (c’è sempre qualche sorpresa in agguato), molte invece aggiungono qualcosa di più sul travagliato e ignoto passato del protagonista se portate a termine, mentre altre, abbastanza difficili, richiedono una minuziosa lettura della descrizione per capire come muoversi, poiché in tali casi, l’indicatore della missione non viene mostrato e lasciano il giocatore a brancolare nel buio se non ha la minima idea di come andare avanti. Ma in ogni caso, se si vuole scoprire tutti i segreti che cela Talos I, conviene cercare di farle tutte.

Tutto è oro quello che luccica?

Arrivati fino a qui sembra che Prey sia un capolavoro, un nuovo punto di riferimento per il genere FPS di questo calibro, e così è. Ma purtroppo non è esente da difetti. Sono presenti infatti diversi bug, sia maggiori che minori. Anche noi ne abbiamo incontrati lungo ben 23 ore di gioco, ma niente che abbia potuto compromettere l’avventura, solo qualche piccolo problema nella IA dei nemici (che è funzionale, ma niente di complesso, anche se va detto che i Typhon tentano di fuggire e nascondersi quando gli si tolgono i poteri), che in determinati casi si blocca e non è in grado di raggiungere il giocatore (soprattutto con i Mimic sopra i pannelli del soffitto); ogni tanto capitava che gli Operatori (robot che possono riparare l’armatura o curare a seconda delle loro mansioni) non svolgevano il loro lavoro quando si interagiva con loro e bisognava interagirci ancora una volta; in un caso il segnalatore di missione è scomparso ed è stato necessario perlustrare da cima a fondo l’intera sezione esterna di Talos I per trovare ciò che andava trovato, e a volte è capitato che il modello grafico dell’arma scomparisse. Piccole magagne che però fortunatamente non hanno inficiato l’esperienza di gioco globale, che è rimasta sempre molto elevata.
Ci sono state segnalazioni che ci sono bug che possono corrompere i salvataggi, ma fortunatamente mentre leggete queste righe Arkane ha già pubblicato una patch che non solo previene questo bug, ma che ripristina le partite corrotte.
Un altro piccolo problema che si spera venga messo a posto da una patch, è che il cerchio (ma è meglio dire la spirale) delle armi e dei poteri è assegnato prepotentemente al tasto centrale del mouse, e non è possibile riassegnarla a un altro tasto. Quindi se avete l’abitudine di assegnare la rotella del mouse a un’altra azione, siete stati avvertiti.
L’unica magagna nel gameplay è rappresentato dall’Incubo, un gigantesco Typhon che ogni tanto si presenta nella zona e darà la caccia al giocatore. Egli potrà o combatterlo o sfuggire, ma c’è da dire che sebbene sia interessante sulla carta, all’atto pratico sembra una cosa alquanto blanda e forzata. Combattere contro il mostro è un suicidio anche con i poteri e le armi più forti, mentre sfuggirgli è fin troppo facile, e basta aspettare tre minuti da qualche parte perché poi scompaia, oppure si può giocare la carta “scappa gratis dall’Incubo” cambiando zona.
Dulcis in fondo, sebbene sia stato già detto nel nostro “Come gira” che il titolo funziona praticamente in maniera perfetta a livello di frame rate, è d’obbligo dire che in alcune zone ci sono dei sporadici cali, soprattutto in un’area particolare che inspiegabilmente gira male nonostante la presenza dei nemici sia praticamente nulla – salvo poi ritornarci in seguito per un’altra missione con una moltitudine di nemici e girare tutto sommato bene.
Concludiamo questa recensione con qualche appunto sull’audio, e su qualche altra nota a parte.
Prey è interamente localizzato in italiano, e il doppiaggio è di eccellente qualità (basta dire che c’è lo stesso doppiatore che prestò la voce per Andrew Ryan in Bioshock). Sul fronte del sonoro, invece, c’è qualche alto e basso: mentre l’audio in sé è di ottima qualità (soprattutto le musiche!), ci è parso che alcuni suoni (ad esempio i colpi dei nemici che colpiscono un muro) fossero veramente troppo bassi da risultare quasi inesistenti. Fortunatamente niente che una buona patch non possa sistemare.

Conclusione

Prey si può considerare come un cocktail che è stato preparato mescolando sapientemente e con efficacia tanti elementi presi da altrettanti videogiochi che abbiamo imparato ad amare nel corso degli anni, e il risultato è semplicemente sublime, con un gameplay solido ed equilibrato, dove ogni elemento ha la sua importanza, e ogni problema ha molteplici soluzioni. Gli Arkane sono riusciti a costruire un universo narrativo plausibile e accattivante, dove ogni elemento, anche quello in apparenza il più insignificante, ha una ragione d’esistere, e i combattimenti contro i Typhon sono difficili a tal punto da far sentire il giocatore in perenne pericolo, in quanto le armi non sono mai efficaci quanto si vorrebbe, e lo costringono quindi a cercare approcci alternativi e variegati, rendendo pertanto ogni vittoria un motivo per esultare.

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