In questi giorni in Iran sono avvenuti numerosi blackout, e le autorità, cercando di fare luce sulla vicenda, hanno infine scoperto la causa scatenante di tutto: il mining di criptomonete.

Minare criptomonete, si sa, è una operazione non solo remunerativa, ma anche altamente energivora, e il fatto che in Iran l’elettricità sia estremamente economica ha permesso a questo fenomeno di diffondersi a macchia d’olio in tutta la nazione. Per comparazione, il costo al kWh è di 4 volte inferiore rispetto a quello della Cina, con i prezzi che viaggiano attorno ai 1.8, 2.2 centesimi di dollaro.

Non per niente, secondo l’università di Cambridge, l’Iran raffigura tra le 6 località più popolari per chi vuole allestire un grande centro di calcolo per criptomonete. E infatti le autorità hanno trovato 14 grossi centri di calcolo per minarle, le quali assieme consumano 300 megawatt di potenza, comparabile a una città di 100 mila abitanti.

Anche in Cina il fenomeno sta dilagando, tant’è che stanno facendo incetta di hardware e portatili muniti di schede grafiche RTX 30.

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