Piaccia o meno, From Software è riuscita nell’intento di creare un genere videoludico, un merito che ben pochi riescono a ottenere nel corso della propria carriera. Con Demon Souls, ma consacrato con Dark Souls, From Software inconsapevolmente ha creato il genere che oggi viene definito dai videogiocatori e dalla stampa come “soulslike”, termine che col tempo viene paragonato a “hardcore”, “difficile”, “punitivo”, e altri termini e aggettivi che farebbero scappare a gambe levate qualunque casualone che si rispetti. E facendo fede a un noto proverbio, From ha battuto il ferro finché è caldo, ed è riuscita nel corso di tre lustri a produrre ben sette giochi appartenente a questo genere, tutti considerati capolavori o comunque dei titoli eccezionali nonostante alcuni alti e alcuni bassi. Stiamo parlando naturalmente, oltre a quelli già citati, di Dark Souls 2, Dark Souls 3, Bloodborne, Sekiro: Shadows Die Twice e, il protagonista di questo articolo, Elden Ring.

Un risultato assolutamente fenomenale, perché nel corso degli anni, da quando il termine “soulslike” è stato coniato, sono tante le software house che hanno tentato di creare un esponente di questo genere, senza nemmeno riuscire ad avvicinarsi al successo dei titoli From, a dimostrazione che, nonostante le buone intenzioni degli sviluppatori, non è stato ben compreso che cosa rende unici i giochi targati From, finendo con l’essere definite delle pallide imitazioni facilmente dimenticabili. In questo articolo ci soffermeremo a discutere di Elden Ring, e a capire se è veramente un capolavoro come la stampa dice, oppure se magari non hanno un tantino esagerato.

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La ricetta segreta

Prima di cominciare a parlare di Elden Ring, chiediamoci che cosa rende speciale un “soulslike” targato From. È difficile dirlo con precisione, è come chiedere che cosa rende speciale una miscela di spezie come la tanto decantata del KFC, ma è sicuramente una combinazione sapientemente miscelata ed equilibrata tra il gameplay funzionale e ben rodato, un comparto artistico eccezionale e ispirato, una grande varietà di armi e nemici coerenti col mondo, una longevità e una rigiocabilità estremamente elevata, una lore del mondo di gioco profonda che fa ruotare attorno a essa la storia e che viene scoperta in maniera subdola e subliminale, un world design e un level design in genere arzigogolato, aperto, senza mai abusare del senso dell’orientamento dei giocatori e pieno di numerosi segreti che ricompensano i più curiosi e intraprendenti, musiche evocative, combattimenti supportati da una vasta gamma di moveset, la possibilità di creare una gran quantità di build valide e originali, una componente multigiocatore che mescola PvP e cooperazione, il riuscire a essere punitivo, frustrante e difficile al punto giusto senza tuttavia smettere di essere gratificante, il riuscire a sorprendere per ogni progresso che viene fatto.

Con un simile zibaldone, non è mistero che molte software house che vogliono creare il proprio “soulslike” non riescano ad avvicinarsi alla qualità di quelli From, perché magari per inesperienza o per mancanza di budget vengono omessi o vengono poco sviluppati uno o più di questi fattori, e come quando ci si dimentica di mettere il sale nell’acqua della pasta, la loro mancanza si sente e va a inficiare la qualità dell’intero contenuto.

E possiamo dire fin da subito che Elden Ring avrebbe potuto essere chiamato Dark Souls 4 che sarebbe andato bene lo stesso. Il feeling di gioco, il modo di raccontare una storia (la cui lore è stata creata da George R. R. Martin, mentre Miyazaki ha scritto la storia del gioco), i combattimenti, le invasioni, tutto è rimasto inalterato come i fan se lo ricordavano, lasciandosi però alle spalle meccaniche che sono state viste come inutili o vetuste, come il logoramento delle armi o tutte le meccaniche relative all’Umanità, Effigi o Braci che siano, ma allo stesso tempo migliorando il resto con delle aggiunte interessanti, come il salto, la furtività e il crafting.

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Benvenuti nell’Interregno

Elden Ring è stato definito come un “Dark Souls open world”, e in verità questa definizione non è poi così lontana dalla verità. Ultimamente il termine “open world” per i titoli action è diventato sinonimo di “vuoto”, di “noia”, e per il reparto marketing è diventato un punto per compensare altre lacune, quante volte infatti si è sentito che il proprio gioco “ce l’ha più grossa”, ma a conti fatti il termine open world, dal punto di vista del gameplay, designa solo uno spazio che separa il punto A dal punto B, e che va attraversato di solito con veicoli, come a voler evidenziare che dentro questo open world non c’è poi bisogno di passare così tanto tempo. Nel corso degli anni le software house si sono sbizzarrite su come riempire queste mappe, perlopiù con obiettivi o attività qualitativamente scarse con lo scopo di gonfiare artificialmente la longevità del titolo, ma che spesso e volentieri finiscono con il venire ignorate dai più proprio perché sul lungo periodo, non contribuendo granché all’intrattenimento, tendono a diventare asfissianti, noiose e inconcludenti.

Fortunatamente Elden Ring si riesce a discostare da questa formula rodata e abusata con un mondo di gioco che si integra perfettamente col gameplay ed è ben più che una semplice mappa messa lì solo per motivi di marketing. Anzitutto, l’Interregno, il mondo di gioco di Elden Ring, è stato creato con una filosofia alquanto importante, ovvero come se fosse un gigantesco livello di Dark Souls, intricato, pieno di scorciatoie e segreti a volte ben nascosti, deviazioni e tanti ostacoli naturali e che ogni metro quadro di esso ha un perché, una storia da raccontare di un’epoca passata quando le cose andavano per il meglio. Una filosofia importante che riesce a tenersi costante per tutta la durata del gioco senza per questo sacrificare l’aspetto estetico o funzionale del gioco.

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La vera grandezza della mappa è tenuta sapientemente nascosta sin dall’inizio, e solo man mano che si procede nel gioco, guidati dal proprio spirito avventuriero o seguendo determinate scie luminose nei “luoghi di grazia”, ci si rende conto di quanto sia effettivamente grande. Ma per quanto sia grande, la sensazione è che la grandezza sia quella giusta, proprio perché sorretta da tante cose uniche che vale la pena scoprire e vedere. Soffermarsi ogni tanto per guardare ciò che ci circonda non è solo utile per fare qualche screenshot memorabile, ma anche per scorgere luoghi di interesse. Cosa c’è in quella chiesa lontana? Verso dove punta il dito di quella statua? Cosa c’è sotto quell’albero immenso laggiù? Ci sarà mica una caverna dietro quel pertugio nascosto là in fondo? Domande che molto spesso hanno una risposta alquanto interessante, e la curiosità come non mai viene ricompensata, e il piacere della scoperta è proprio ciò che guida il giocatore a vivere di avventura per pressoché l’intero gioco, anche perché in nessun caso viene preso per mano, se non dandogli qualche vago indizio qui e là su dove andare o cosa fare.

Per aiutare nella sua traversata, From Software ha deciso di aggiungere non solo il salto al protagonista del gioco, per aiutare dunque con i vari dislivelli che si avranno a che fare e aggiungere un repertorio di mosse di combattimento che ne fanno uso, ma anche un destriero fantasma di nome Torrente. Torrente è ben più che un mezzo per velocizzare gli spostamenti (ci si può anche teletrasportare se per questo), è anche un mezzo per raggiungere luoghi inaccessibili grazie al doppio salto o sfruttando certi vortici magici per raggiungere altezze elevate, ed è anche un ottimo mezzo di combattimento contro non solo i nemici più deboli, ma soprattutto contro determinati boss opzionali che si possono incontrare semplicemente esplorando. La particolarità sicuramente più strana di Torrente è che… sta comodamente alloggiato nelle nostre tasche! In realtà nelle nostre tasche ci sta un fischietto che usandolo richiama il destriero in qualunque momento, facendolo apparire e scomparire alla bisogna, il tutto senza soluzione di continuità, ovvero si può correre e chiamare il destriero per montargli in groppa senza fermarsi anche solo un istante. Non solo, ma è anche possibile raccogliere oggetti mentre si è in sella, una comodità davvero gradita. E se dovesse morire? Niente paura, è possibile farlo rinascere usando una delle pozioni curative a nostra disposizione.

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Sopravvalutato?

Forse avrete sentito che degli sviluppatori di Ubisoft e di Guerrilla (che ha appena rilasciato Horizon Forbidden West), si sono lamentati di come a detta loro Elden Ring sia stato troppo esaltato e abbia ricevuto voti troppo alti, una pioggia di 10 come non mai facendolo finire tra i titoli con il voto più alto in assoluto su piattaforme di aggregazione voti come Metacritic, mentre i giochi che loro stessi producono, nonostante abbiano cutscene, animazioni e missioni secondarie decisamente migliori, una grafica più bella, attori famosi che interpretano certi personaggi, non sembrano ricevere lo stesso trattamento di favore. Hanno ragione o torto? Entrambe le cose.

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Per quanto le loro critiche siano sincere e comunque veritiere, per quanto abbiano evidenziato che Elden Ring ha delle mancanze rispetto ad altri titoli, si sta tentando di confrontare due filosofie di gioco che stanno agli antipodi. Elden Ring non è un gioco che vive di regia. Non è un gioco che vive di galoppinaggio. È un gioco che sa stare in piedi grazie all’avventura, alla scoperta e alla crescita, ogni altra aggiunta sarebbe stata superflua, una perdita di tempo e di concentrazione sugli obiettivi di gioco. Non ha bisogno di essere soffocato da punti di domanda per attirare l’attenzione del giocatore verso un elemento che è diverso dai comuni fili d’erba. Non ha bisogno di essere infarcito di missioni secondarie più o meno riempitive, più o meno ben scritte, che portano il giocatore a scoprire posti che prima o poi avrebbe scoperto da solo o ritornare in luoghi che magari aveva già visitato in precedenza, proprio perché la sola mappa, per come è strutturata, è in grado di reggere il gioco, mentre negli altri titoli della concorrenza la mappa è solo uno spazio da percorrere che separa gli obiettivi di missione.

Certo, di quando in quando si trovano degli NPC che chiedono al giocatore di fare qualcosa per loro, che sia portare una lettera al padre che sta difendendo un castello sotto assedio o recuperare una collana da un ladro, ma proprio come i precedenti Dark Souls, sono ben integrate con l’esplorazione stessa che quasi si portano a compimento da sole e di solito elargiscono premi unici che non si potrebbero ottenere altrimenti oppure sbloccano dialoghi che rivelano qualche retroscena interessante sulla storia. Il rovescio della medaglia è che allo stesso modo dei precedenti titoli From se non si trovano determinati NPC prima di proseguire con certi avvenimenti, non si avrà più modo di trovarli e le loro missioni relative saranno perse per sempre.

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La varietà prima di tutto

Elden Ring non tradisce le sue origini e usa la varietà per mantenere vivo l’interesse del giocatore a continuare a giocare, caratteristica che è stata essenzialmente dimenticata da molti sviluppatori, i quali propongono sempre le stesse cose, sempre gli stessi nemici, sempre gli stessi pattern d’attacco, finendo con il creare giochi che dopo un paio d’ore si ha già visto tutto o comunque quasi tutto pur senza vedere niente. Facile sconfiggere lo stesso nemico mille volte, ma sconfiggere una volta mille nemici diversi è un altro paio di maniche. In Elden Ring la varietà in qualunque aspetto, dalle armi che il giocatore può brandire agli incantesimi che può usare, dalle ambientazioni che può visitare ai nemici che può affrontare, fino ai medaglioni e alle armature che si possono indossare, è veramente elevata e ha sempre qualcosa di nuovo da mostrare al giocatore che lo affronta la prima volta, in modo da mantenere vivo l’interesse a proseguire.

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Persino le risorse come fiori, bacche, insetti, usate per il crafting, aggiunta quanto mai azzeccata e utile, sono numerose e ben varie, così come gli oggetti che è possibile costruire, e ogni zona ha le proprie. Non solo, ma From è riuscita a rendere il farming meno tedioso di quanto si possa immaginare, riuscendo a innestarlo perfettamente nelle meccaniche intrinseche dei soulslike: morendo, infatti, le risorse ricompaiono, senza far perdere quelle già raccolte in precedenza. Vien da sé che fare e rifare una stessa zona perché c’è un mostro o un boss che si fa fatica ad abbattere è un’ottima scusante per fare incetta delle risorse della zona senza per questo pesare troppo sul tempo investito.

Non solo, ma alle armi è anche possibile innestare determinati oggetti (chiamati ceneri di guerra) per aggiungere a esse attacchi speciali, come urli di guerra per boostare i propri attributi per qualche secondo, affondi particolarmente devastanti, attacchi inarrestabili, la varietà anche su questo aspetto proprio non manca, ed è compito del giocatore fare esperimenti e trovare quali sono le mosse che meglio si adattano al proprio stile di combattimento.

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Non è tutto oro

Fino a ora abbiamo solo parlato dei grossi pregi di Elden Ring, e per una buona ragione, sono proprio ciò che caratterizzano il gioco e lo rendono quello che è. Ma come tutte le medaglie hanno una fronte e un retro, anche Elden Ring ha dei difetti non da poco. Se dal punto di vista del gameplay il gioco è inattaccabile, lo stesso non si può dire dei suoi problemi tecnici, problemi che From si sta trascinando praticamente da sempre. Problemi di performance, animazioni non sempre convincenti, compenetrazioni, hitbox non sempre impeccabili, lock a 60fps, mouse e tastiera non adeguatamente supportati, sono solo alcuni dei problemi tecnici che al momento Elden Ring è afflitto.

I problemi di performance fortunatamente non sono poi così gravi da rendere del tutto ingiocabile il titolo, ma ci sono e possono infastidire. Se i cali di frame rate si possono comunque tollerare, lo stesso non si può dire dello stuttering, specialmente in un titolo che fa del tempismo e della difficoltà il suo grido di battaglia. Fortunatamente gli episodi di stuttering non sono poi così frequenti, e difficilmente capitano durante le battaglie, al più quando si esplora, ma la paura che capitino nel momento opportuno c’è. Anche l’ottimizzazione è abbastanza altalenante, e ci sono testimonianze del gioco girare al di sotto dei 60fps su PC alquanto performanti addirittura con una scheda grafica RTX serie 30. Nel nostro caso, su un PC dotato di i5 4690K a 3.50GHz, 16GB di RAM e una RTX 2070, il gioco girava con una media di 45-50fps. Non è sicuramente una cosa accettabile per un titolo di questa importanza, e infatti il gioco è stato subissato di recensioni negative su Steam per questo, e finché From non risolverà di proprio pugno questi problemi, sarà meglio che coloro che non riescono a godersi un gioco se non gira almeno a 60fps granitici lo evitino.

Graficamente non fa di certo gridare al miracolo, ma Elden Ring compensa questa mancanza con la bellezza e la cura maniacale del comparto artistico, cosa che spinge il giocatore a chiudere un occhio sulla bellezza grafica intrinseca. Alcuni scorci e panorami che il gioco ha sono tra i più belli mai visti in un videogame, e difficilmente si riesce a restare indifferenti di fronte a tale maestosità. Vedere tuttavia i nemici attaccare ancora attraverso i muri nel 2022 fa venire un sorriso, un sorriso amaro, e su questo aspetto speriamo davvero che From, grazie al successo che Elden Ring ha avuto (12 milioni di copie confermate), migliori i propri successivi titoli.

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Discorso a parte per i compagni PCisti che adorano giocare con mouse e tastiera. È tristemente noto che sebbene i titoli From siano giocabili con l’accoppiata, il loro uso non è affatto ben implementato come si vorrebbe. Prendiamo Dark Souls 3, ad esempio, aveva ancora i prompt su schermo legati esclusivamente al pad, cosa che forzava i giocatori PC a capire cosa dovevano premere quando compariva “A”, “B”, via di seguito. Fortunatamente con Elden Ring è stata aggiunga l’opzione di visualizzare i prompt per mouse e tastiera. Non è un’opzione automatica che cambia in base a cosa si sta usando, ma è già un’aggiunta assolutamente gradita e fondamentale.

Ciò che però pecca è che alcuni comandi non possono essere modificati in alcun modo. Come, ad esempio, il tasto per aprire la mappa. Chiunque userebbe M per aprire la mappa, Elden Ring ha invece il tasto G, e considerato quanto sia importante consultare la mappa sarà un tasto che per forza di cose vi toccherà abituarvi. Non parliamo poi della consultazione della stessa, un vero e proprio inferno nel quale è impossibile navigare con il mouse. Se ad esempio, ci si vuole teletrasportare in un luogo di grazia, occorre selezionarlo da un elenco e non cliccandoci sopra col cursore, e spesso trovare il nome del luogo di grazia interessato è un’impresa non da poco. Non è nemmeno possibile analizzare in dettaglio la mappa spostando il cursore con il mouse, ma solo con i tasti movimento. Ottima la presenza di poter aggiungere segnalini per ricordarsi un determinato luogo, ma ha un limite di 100 e tra le icone disponibili non sempre c’è quella che si desidererebbe per descrivere meglio ciò che si vorrebbe. Su questo aspetto era necessario fare di più. Esistono poi degli slot di scelta rapida per gli oggetti accessibili con il tasto Usa assieme a uno dei tasti di selezione dell’equipaggiamento. Se su pad la combinazione di tasti è sensata, su PC non si capisce perché non si possano usare i canonici tasti 1, 2, 3, 4. Senza poi considerare che per uscire da un menu bisogna premere il tasto Q. Scelte un po’ insensate di cui proprio non ne capiamo il motivo, ma sottolinea come in From non ci sia nessun sviluppatore che abbia ben compreso come i PCisti vogliano usare mouse e tastiera.

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La risposta alla domanda

Sì, Elden Ring è un capolavoro allo stesso modo per cui la trilogia di Dark Souls è considerata tale. È un lavoro artistico curato con così tanta maestria da riuscire a mascherare tutti i suoi difetti sul fronte perlopiù tecnico, e chi riesce a chiudere un occhio su queste magagne viene ricompensato con un titolo in grado di tenerlo incollato allo schermo per non meno di 100 ore se si è davvero scrupolosi nell’esplorazione, merito anche per la grande varietà di armi, nemici e location con cui si avrà a che fare. È un gioco memorabile, dove ogni passo fatto nell’Interregno è una probabile scoperta da raccontare agli amici, dove ogni boss è un’avventura che non si dimenticherà facilmente, dove ogni scorcio è uno screenshot doveroso da fare. È un gioco che è riuscito nell’impresa di alzare l’asticella della qualità dei Soulslike, senza stravolgerne la formula, senza tradire le sue radici. Chi se ne importa se non ha il labiale o cutscene animate col mocap, chi se ne importa se non ha attori famosi che interpretano qualche NPC, chi se ne importa se molte animazioni sono riciclate dai precedenti titoli. Elden Ring è la dimostrazione che a volte tutto ciò che serve è un gioco che sappia fare davvero da gioco e non fungere da film interattivo.

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2 Commenti

    1. Matteo Carrara ha detto:

      gran gioco ma oggettivamente è sopravvalutato

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