In uno studio intitolato “Economic estimation of Bitcoin mining’s climate damages demonstrates closer resemblance to digital crude than digital gold“, gli scienziati hanno confrontato la produttività economica delle industrie con i danni all’ambiente causati dalle stesse. Per il Bitcoin, ogni dollaro di valore comporta 0,35 dollari di danni ambientali globali.
Nel documento, il Bitcoin è risultato insostenibile per una semplice ragione. Il mining di Bitcoin stava diventando meno efficiente nel tempo, non più efficiente. La maggior parte dei mercati diventa più sostenibile man mano che cresce, ma per il Bitcoin è il contrario. Negli ultimi cinque anni, le emissioni di Bitcoin sono passate da 0,9 tonnellate di CO2 per coin nel 2016 a 113 tonnellate di CO2 per moneta nel 2021. Si tratta di un aumento di 126 volte. Col tempo, la generazione di Bitcoin diventerà sempre più inefficiente, con conseguente aumento delle emissioni e dei danni ambientali.
I danni al clima associati al Bitcoin sarebbero pari al 35% del valore della valuta, il che rende il Bitcoin più pericoloso per l’ambiente dell’allevamento globale di bovini, il cui rapporto tra danni al clima e valore di mercato sarebbe del 33%. Per la produzione di benzina dal petrolio greggio, il rapporto è del 41%, e per la produzione di elettricità dal gas naturale, del 46%.
Nel loro articolo, gli autori Benjamin A. Jones, Andrew L. Goodkind e Robert P. Berrens raccomandano che l’industria delle criptovalute abbandoni gli inefficienti algoritmi di Proof of Work (POW) per passare a una struttura di Proof of Stake (POS). In questo modo si ridurrebbe notevolmente il costo ambientale, ma la crescente inefficienza delle criptovalute Proof of Work (POW) rende il passaggio alle rinnovabili un percorso insostenibile.