Atteso per la fine di gennaio (salvo slittamenti) del prossimo anno, Dying Light ha subito attirato l’attenzione dei fan degli zombie per via delle sue meccaniche da parkour inserite in un survival horror con un combat system focalizzato sul corpo a corpo più che sulle armi da fuoco. Abbiamo avuto l’occasione di provare la versione preliminare del titolo, e siamo pronti a condividere la nostra esperienza e le nostre impressioni con voi!
“Lo sai che Crane in inglese vuol dire gru?”
La storia si svolge nella città di Harran, ovvero quella che sembra essere una favelas brasiliana. Prenderemo i comandi di Kyle Crane, uno dei tanti sopravvissuti al virus che sta trasformando tutta la popolazione in zombie famelici, con l’obiettivo di aiutare i membri della nostra combriccola a sopravvivere, eseguendo i compiti che ci verranno dati durante la quest principale. La demo fornita prevedeva le prime missioni principali più un paio di secondarie, per un totale di due-tre ore di gioco, ma che ci ha fatto capire che Dying Light sarà molto probabilmente un titolo longevo e vario.
Logan e Faith han fatto un figlio
Dopo la prima missione che fungeva da tutorial per farci comprendere al meglio le meccaniche parkour che il gioco propone, ecco che ci ritroviamo per strada per la prima volta, armati solo di un’asse di legno, un medikit, le nostre agili gambe e un obiettivo semplice da portare a termine: parlare con un dottore situato in un altro rifugio poco lontano dal nostro per recuperare una fiala di Antizin, un farmaco che impedisce la mutazione di chi è stato infettato. Fatti pochi passi e ci ritroviamo infatti davanti al cancello, con un paio di zombie che brancolano senza meta nei suoi dintorni. Non vediamo l’ora di fracassare il cranio a questi morti viventi, per testare a fondo il combat system e scoprire con piacere che è ben realizzato e appagante: gli zombie sono coriacei, e ogni colpo andato a segno ha conseguenze visive sul piano delle animazioni, con i nostri fendenti che rimbalzano indietro per l’impatto contro le loro parti di corpo marce. Si possono tirare anche calci per allontanare momentaneamente gli avversari, ma ovviamente il numero di mosse a disposizione è molto più grande, ma bisogna dapprima sbloccarle spendendo i punti abilità nell’apposito albero delle abilità. A primo impatto quindi, il combat system convince.
Poco dopo averli fatti fuori e svuotato le loro tasche, entriamo nel rifugio.
L’alba dei morti dementi
Dopo aver parlato con il dottore, ci verrà affidata un’altra missione: uno dei nostri è rimasto intrappolato in un altro rifugio situato abbastanza lontano da dove siamo, e sarà compito nostro andare ad aiutarlo, e nel frattempo dovremmo anche preparare alcune trappole, ovvero automobili in grado di scaricare la loro batteria nei suoi dintorni. Per aiutarci nella missione ci verranno dati dei petardi. Questi affarini esplosivi non causano danno, ma solo molto rumore.
Nelle strade di Harran gli zombie sono tanti. Tantissimi. In una delle strade più trafficate che abbiamo incontrato abbiamo contato più di trenta zombie. La maggior parte di essi proprio vicino alle macchine-trappola che dobbiamo preparare. Proviamo a far fuori qualche zombie con la nostra fida asse di legno, ma ben presto si rompe e diventa praticamente inutilizzabile, e in poco tempo finiamo circondati. Grazie al nostro corpo da atleta e qualche calcio ben piazzato riusciamo a salire sul tetto di una casa lì accanto senza riportare gravi danni. Ascoltando il consiglio del nostro collega datoci qualche minuto fa, scagliamo qualche petardo poco lontano dalla folla di zombie. Lo scoppiettare incessante richiama l’attenzione, e a quanto pare preferiscono assistere allo spettacolo pirotecnico piuttosto che mangiarci, e approfittiamo di questa loro momentanea distrazione per fare la nostra missione. Una volta preparata la macchina scappiamo, e andiamo ad aiutare il povero tapino intrappolato sfruttando stavolta i tetti anziché le strade.
Il sistema di parkour proposto nel titolo Techland è molto semplice da utilizzare: il nostro uomo si aggrapperà sulle sporgenze che centreremo con la visuale e ci saltiamo addosso tenendo premuto il tasto di salto, che siano balconi, tetti, parapetti non ha importanza, il nostro agile Crane si aggrapperà ovunque. Ma aggrapparsi non sarà l’unica cosa possibile, potremmo anche arrampicarci sulle case, se ci sono le dovute inferriate alle finestre, oppure scalare i tralicci della luce e probabilmente fare tante altre prodezze, ma purtroppo molte mosse sono bloccate, e sarà necessario sbloccare le abilità apposta mano a mano che si sale di livello. Anche in questo caso, il parkour convince, ed è anche divertente: dopo decine e decine di sparatutto dove una barriera alta trenta centimetri rappresenta un ostacolo insormontabile, potersi muovere ovunque quasi senza limiti è una novità ben accetta.
Buona notte. Buona fortuna.
Giunti sul luogo in cui il nostro amico è bloccato, liberiamo il rifugio dove si era nascosto, e con orrore constatiamo che il sole sta tramontando, ma purtroppo le luci presenti nell’area non funzionano e c’è bisogno di riattivare una centralina elettrica poco lontana. Con la nostra solita agilità raggiungiamo l’interruttore generale, ma è troppo tardi: è diventata notte fonda. E si può constatare come il gioco cambi drasticamente: gli zombie in assenza di luce diventano aggressivi, corrono ed è difficile tenerli a bada. In più, non si vede proprio nulla, e l’uso della torcia per vedere dove andare è un obbligo. In nostro aiuto oltre a una torcia normale potremmo usare anche una torcia UV, utile per confondere gli zombie che ci stanno caricando, ma con questa la batteria si consuma e si ricarica lentamente. Ecco quindi che dobbiamo raggiungere il rifugio sicuro di prima, ma la distanza che ci separa sembra essersi d’un tratto raddoppiata per via di questo cambiamento. Ma una volta giunti sul posto, ci mettiamo a dormire e aspettiamo che il sole sorga di nuovo.
I primi due giorni di Dying Light saranno così: 3-4 missioni una dietro l’altra che fungeranno da un grande tutorial sulle meccaniche di gioco comunque semplici, soprattutto se avete già giocato a Dead Island, e con il tempo scriptato che cambierà soltanto in base all’obiettivo della missione raggiunto. Dal terzo giorno in poi, però, il tempo prenderà il suo corso naturale e dovrete stare ben attenti all’ora se volete essere sicuri di essere vicini a un rifugio dove poter passare la notte in tranquillità. Girovagando per la mappa infatti si possono incappare anche eventi casuali, come trovare superstiti della fazione opposta alla nostra, con cui ingaggiare violenti scontri a suon di tubate per depredarne i corpi. Gli scontri corpo a corpo con gli umani sono un po’ più interessanti e impegnativi, in quanto questi sono in grado di parare, calciare e schivare i nostri colpi.
Anche l’occhio vuole la sua parte
Graficamente Dying Light è uno spettacolo per gli occhi: l’ambiente che ci circonda è ricco e dettagliato, e i modelli degli zombie sono ben fatti, così come la quantità di elementi visualizzati in lontananza per regalare immagini e panorami mozzafiato. È presente un particolare filtro nell’immagine che dona al gioco un aspetto unico, vagamente fumettoso, ma comunque di ottima qualità. Le luci dinamiche sono ben realizzate e l’effetto giorno-notte è ben realizzato e alquanto realistico.
La demo fornita permetteva tuttavia di cambiare ben pochi dettagli grafici, e ad esempio non si poteva disabilitare il blur né modificare il FOV, ma siamo sicuri che nella versione finale la quantità di opzioni soddisferà chiunque.
C’è ancora tanto da raccontare, ma tratteremo tutto il resto in sede di recensione; nel frattempo possiamo dire con certezza che tutto quello che abbiamo provato in Dying Light ci ha convinto, più o meno (l’incertezza è dovuta all’interfaccia dei menù dell’inventario), ma è ancora troppo presto per valutare appieno un titolo open-world in cui la varietà delle missioni proposte sarà la discriminante, nonché come si evolverà la storia, che a primo impatto sembra interessante.
uguale a deadisland, solo grafica migliore, ma credo meno longevo