Negli ultimi giorni, gli sviluppatori di Agony si sono ritrovati in una disdicevole situazione. Fin dalla campagna Kickstarter del 2016 avevano promesso un gioco gore, violento, senza censure, e soprattutto giustificato, in quanto si svolge nelle viscere dell’inferno. Ahinoi, la scure della censura s’è fatta sentire lo stesso, in quanto un accordo con un publisher per la versione retail ha impedito di fatto di rilasciare un gioco che fosse classificabile come Adults Only anziché 18+, nonostante la promessa, non mantenuta per la stessa ragione, di rilasciare una patch per la versione PC. Ma chiariamo subito: censura o non censura, le cose cambiano ben poco: Agony non è un buon gioco. Come ampiamente dimostrato da altri titoli, non serve un ottimo comparto artistico per tenere a galla un gioco se questo ha diversi problemi dal punto di vista del gameplay. Ma andiamo con ordine.
Benvenuti all’Inferno!
Come detto poc’anzi, il comparto artistico è ottimo, e su questo in verità non c’è molto da discutere. Basta guardare qualunque screenshot per rendersi conto di come l’Inferno immaginato dal team di Madmind sia grottescamente affascinante, disgustosamente sublime, grazie alle sue ambientazioni che si basano su tutto ciò che è organico come ossa, denti, sangue, budella, occhi, mani, genitali. Ma sotto questa riproduzione visiva meritevole, è impossibile non notare come i primi problemi vengano a galla: Agony è un gioco buio, fin troppo, e alzando la gamma per compensare diventa quasi inguardabile a causa della “nebbiolina” che va a crearsi, e il risultato è veramente fastidioso.
Purtroppo, questo non è nient’altro che il primo difetto di molti, e un altro che si nota subito al primo istante una volta avviato il gioco è la velocità con cui il giocatore si muove: il personaggio di default cammina con un’andatura veramente lenta, costringendo dunque ad affidarsi alla corsa, peccato che questa costi stamina che si consuma abbastanza in fretta e si ricarica lentamente, con tutti i contro del caso. Per di più, ci sono alcune brevi sezioni dove il pavimento è ghiacciato, e in questo caso muoversi diventa ancora più frustrante. Considerata la natura dei livelli, esplorare diventa ben presto snervante.
Dante ha mentito!
Il level design dell’Inferno risulta essere complesso e labirintico, ma considerati i problemi di movimento, con il personaggio che si muove lentamente e che si incastra facilmente in qualche elemento scenico del pavimento, esplorare livelli grandi e arzigogolati come quelli di Agony diventa una tortura, tant’è che spesso, soprattutto quando ci sono diversi nemici (i quali normalmente non si possono combattere) nei dintorni, si finisce con il correre a caso sperando di percorrere la strada giusta. E considerato che spesso questa strategia funziona, alla luce di ciò risulta che la precedente affermazione sulla complessità del level design sia solo una prima impressione: la verità è che i livelli sono molto lineari, e ci si rende quindi presto conto che a celarsi tra tutti i bivi, gli incroci e i vicoli ciechi che tanto scoraggiano chi ha poco senso dell’orientamento siano solo stanze segrete e le numerosissime statuette che servono solo a sbloccare bozze e disegni nella galleria. Certo, ogni tanto si trovano anche delle simpatiche mele con tanto di genitali femminili sulla loro buccia che fungono da punti abilità, ma c’è da dire che queste ultime sono cose abbastanza frivole (sono solo tre: trattenere il respiro più a lungo, fare meno rumore e avere più salute) che di certo non migliorano l’esperienza globale.
Non è tutto da buttare
Una delle meccaniche più interessanti del gioco è certamente la possessione, una capacità del nostro alter ego che consiste nel trasferire la propria anima in altri esseri qualora il precedente corpo perda vita. All’atto della morte (ma non tutte le cause di morte sono idonee per questo, ad esempio le cadute negli strapiombi senza fondo non lo consentono) la propria anima uscirà dal corpo, e la si potrà comandare fluttuando per andare in cerca di un altro corpo da possedere. Se all’inizio si potranno possedere soltanto i Martiri, ovvero gli esseri umani, col procedere del gioco questa abilità verrà potenziata in modo da poter possedere anche creature più potenti. E proprio come accadeva con il mitico Abe dell’omonima serie, ogni creatura ha dei propri poteri che permetterà al giocatore di accedere a zone precluse o sfruttare la propria forza per sbarazzarsi di altri mostri. Purtroppo, sebbene l’idea sulla carta sia entusiasmante, nel gioco ha qualche intoppo di troppo: in primis, il movimento dell’anima è davvero fastidioso, sembra che sia immerso in un qualche fluido viscoso per quanto la sua accelerazione sia bassa, e sdrucciolevole allo stesso tempo, per come sia difficile sterzare. Per di più, si rimane incastrati un po’ troppo spesso nella geometria dell’ambiente. Come se non bastasse, salendo un po’ troppo di quota – cosa che capita molto spesso per quanto sia una cosa naturale da fare -, semplicemente si muore in maniera alquanto patetica: la visuale e i comandi vengono bloccati e tocca sorbirsi l’animazione della propria morte che consiste nell’essere presi da una piovra volante, senza così dare la possibilità al giocatore di rimediare al proprio errore.
Il secondo problema della meccanica di possessione è che è poco varia. Sono molto poche le situazioni dove effettivamente bisogna usarle, e anzi, possedere un demone anziché un Martire quando non occorre può portare problemi: in un caso siamo rimasti bloccati all’interno di una stanza con vari oggetti da prendere (i demoni non possono afferrare questo tipo di oggetti) e non abbiamo potuto fare altro che proseguire, con la porta di questa stanza chiudersi alle nostre spalle per sempre, negandoci quindi la possibilità di rimediare a questo nostro “errore”.
Faccia silenzio!
Come se non bastasse, ci sono anche problemi nel ritmo di gioco: spesso ci sono troppe cut scene tra un momento e l’altro, e questo interrompe l’azione anche nei momenti più inaspettati. La cosa più frustrante è che spesso queste cut scene terminano non nel migliore dei modi, con il giocatore messo di fronte a situazioni mortali, e la maggior parte delle volte sembra quasi che l’unico modo per scamparla sia affidarsi alla fortuna. Considerato che il sistema di salvataggio è alquanto stravagante (bisogna trovare e usare degli specchi che fungono da checkpoint, ma se si muore tre volte, lo specchio si rompe e si riparte da quello ancora precedente), è facile capire perché, a volte, giocarci sia una vera e propria agonia.
Considerato poi che il combattimento è inesistente (tranne quando si usano demoni più forti), l’unico modo che si ha per affrontare i nemici è sfruttare lo stealth, nascondersi in anfratti, stare al buio e stare in silenzio trattenendo il fiato. Peccato che nemmeno questa componente sia ben riuscita. Molti nemici sono infatti in grado di uccidere il giocatore in un solo colpo, rendendo ogni incontro ravvicinato fatale. I primi nemici che si incontrano sono gli Onoskelis (quelli che capeggiano sulla copertina per intenderci), ciechi ma attratti dai suoni e dal fuoco. Dato che spesso occorre portarsi una torcia con sé in quanto è utile per ardere ostacoli che precludono il proprio cammino, si capisce il perché di questo bizzarro accostamento. Ma dato che i nemici possiedono una IA alquanto base, spesso vagano casualmente avanti e indietro senza logica apparente, magari lungo corridoi che occorre attraversare. Questo rende i nemici da evitare non tanto un ostacolo da superare, ma un momento di scocciatura che non si vorrebbe avere a che fare. Almeno, questo all’inizio del gioco, quando la capacità di possessione è limitata ai Martiri. Perché quando si potrà possedere anche gli Onoskelis, a questo punto diventa alquanto bizzarro sbarazzarsi dei nemici, basta possederli, uccidere tutto ciò che si trova in giro, e quindi portarsi vicino a una qualche fonte di danno finché non si muore, avendo però cura di avere altri esseri viventi negli immediati dintorni da possedere in tempo prima che la propria anima muoia.
Fortunatamente sul fronte tecnico non abbiamo riscontrato grossi problemi: il gioco sfrutta l’Unreal Engine 4, e con un i5-4690k, una GTX980 con 4GB di VRAM e 16GB di RAM il gioco viaggiava senza problemi sugli 80fps e oltre, con pochissimi cali, naturalmente con tutte le impostazioni al massimo possibile. Va detto però che abbiamo riscontrato diversi bug nella nostra run di sei ore (che diventano di più se si perde tempo a cercare i segreti e a rifare il gioco in una modalità segreta), come cut-scene che venivano ripetute senza motivo o i già citati problemi di collisioni, ma niente di game breaking o che costringesse a ricaricare la partita. La traduzione del gioco in italiano è ben fatta, anche se si limita ai soli sottotitoli.