10 ANNI DI MACHINEGAMES – UNA RETROSPETTIVA

Il produttore esecutivo e socio fondatore Jerk Gustafsson ci parla di un decennio a MachineGames: i trionfi, le difficoltà e la crescita e l’innovazione di uno studio di sviluppo nel corso di anni.

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È interessante realizzare che siamo giunti al 10º anniversario di MachineGames. Un paio di mesi dopo il 10º anniversario di Starbreeze abbiamo deciso che era giunto il momento di avviare un nuovo studio che sarebbe divenuto la nostra casa: MachineGames.

Era l’inizio del 2009, e il primo anno dopo aver lasciato Starbreeze si rivelò molto più difficile del previsto. Non direi che eravamo stati ingenui nel valutare la difficoltà di trovare un publisher, ma di certo abbiamo realizzato che eravamo sviluppatori videoludici e non imprenditori. Avevamo un team molto capace e versabile, ed eravamo ansiosi di scoprire cos’avremmo potuto realizzare insieme e cosa il futuro ci avrebbe riservato. Ma soffrivamo economicamente, e con il passare del tempo la nostra difficoltà nel trovare un publisher iniziò a diventare mentalmente logorante. Il nostro piano era molto semplice: continuare finché non fossero finiti tutti i soldi e poi, se tutto il resto non funzionava, fare domanda di lavoro a un altro studio come gruppo. Sinceramente, mancava poco a questa alternativa.

Fortunatamente, la svolta arrivò dopo soltanto un anno. Le nostre trattative con Bethesda su possibili opportunità ci portarono a visitare id Software per tre settimane nel giugno del 2010 per studiare l’idTech e lavorare su un concetto di gioco basato su uno dei loro franchise.

Scommettemmo tutto sull’opportunità con Bethesda, che era già in cima alla nostra lista di publisher desiderati. Avevamo precedentemente incontrato alcune persone del team di publishing di Bethesda Softworks mentre eravamo in Starbreeze per discutere di una potenziale collaborazione, e si erano rivelati molto gentili e incoraggianti. Dopo tutto questi anni, lavoriamo ancora con loro e siamo grandi amici. Durante quelle caldissime settimane estive in Texas, stendemmo i piani per quello che sarebbe poi divenuto Wolfenstein: The New Order.

Adoro questa foto scattata da Fredrik Ljungdahl, il nostro direttore gameplay, al termine di quelle tre settimane. La foto mostra i piani per The New Order sulla lavagna della sala conferenze di id Software che era divenuta la nostra base durante quel breve soggiorno. Mi piace il fatto che mostra esattamente quello che abbiamo pubblicato quattro anni più tardi. Fortunatamente, siamo sempre stati bravi in questo: una volta steso un piano comune, ci atteniamo a esso.

Unirsi a Bethesda e ZeniMax nell’ottobre del 2010 è stata una grossa vittoria per noi. Realizzammo presto che, rispetto al passato, quando eravamo sviluppatori indipendenti, far parte di un publisher videoludico portava grandi benefici: non solo una comprensione e un coinvolgimento maggiore del processo di pubblicazione, ma anche contatti importanti con altri sviluppatori dell’organizzazione. Poter condividere esperienze, idee e conoscenze con team incredibilmente dotati è una fortuna. E anche se i nostri studi sono unici e lavorano su giochi molto diversi, il supporto che ci forniamo a vicenda è una parte importante del successo ottenuto.
Alcuni membri del team lavoravano a Starbreeze dove ci siamo conosciuti bene. Le prime due aggiunte al team di MachineGames furono molto accomodanti, al punto da offrirsi mesi prima che potessimo offrire loro un lavoro. Entrambe sono ancora con noi: Magnus Auvinen, uno dei programmatori più versatili e competenti che conosca; e Torbjörn Åhlén, un incredibile e affidabile grafico ambientale.

Torbjörn insieme a Kjell Emanuelsson, uno dei soci fondatori di MachineGames, mentre appende la targa sulla porta dei nostri nuovi uffici nel novembre del 2010.

Prima di aprire i nostri uffici, avevamo affittato una sala conferenze in un hotel lì vicino, creando gli script e la progressione del capitolo della Prigione Eisenwald di quella che sarebbe poi divenuta la prima area giocabile di Wolfenstein: The New Order. Ecco una foto della lavagna della sala conferenze con su alcuni appunti e bozze iniziali:

In questa foto potete vedere un pezzo della testa della persona più intelligente nella stanza: il nostro direttore tecnico, Jim Kjellin. Oggi ha meno capelli.

Questa foto è un ricordo molto speciale:

Davanti abbiamo Torbjörn e Magnus, seguiti dai fondatori di MachineGames. Il secondo da sinistra è Magnus Högdahl, fondatore di Starbreeze e la persona che assunse me e il direttore creativo Jens Matthies nel 1998. Come vola il tempo…

Avevamo pianificato di festeggiare la firma del contratto di publishing a un ristorante Nando’s. Tuttavia, purtroppo non c’erano Nando’s in Svezia. Quindi, prendemmo un volo mattutino da Stoccolma a Londra, andammo al Nando’s più vicino all’aeroporto di Heathrow, ci ingozzammo tantissimo e tornammo in Svezia nel pomeriggio!

Il primo anno dopo essere entrati in Bethesda fu piuttosto caotico, poiché stavamo al tempo stesso mettendo insieme il team, costruendo gli uffici e iniziando la pre-produzione per il nostro primo titolo di Wolfenstein. Ci avevano affidato l’incredibile opportunità di lavorare su uno dei franchise videoludici più classici e iconici di sempre, e non dovevamo fallire: dovevamo assicurarci che fosse uno degli sparatutto in soggettiva migliore mai creato! Era importante per diverse ragioni: per mostrare a id Software e a tutti i fan di Wolfenstein che eravamo in grado di portare avanti un simile retaggio, per mostrare a ZeniMax che MachineGames avrebbe fatto la propria parte e sarebbe divenuta una parte importante dell’organizzazione e, cosa più importante per noi, per creare e pubblicare un titolo di debutto di cui l’intero team di MachineGames potesse andare fiero.
Col senno di poi, credo che abbiamo realizzato buona parte dei nostri obiettivi, ma al momento della pubblicazione siamo rimasti un po’ delusi dai punteggi delle recensioni. I nostri piani di sviluppo erano estremamente ambiziosi e c’erano state diverse sfide: stavamo sviluppando al tempo stesso per le console dell’epoca e per quelle della prossima generazione, PlayStation 4 e Xbox One, e tutto questo mentre stavamo ancora mettendo insieme il nostro team. Inoltre, The New Order era originariamente previsto per l’autunno del 2013, ma fummo costretti a posticiparne l’uscita alla primavera del 2014. Chiedere del tempo extra a Bethesda non fu facile, e fu imbarazzante sentire di aver deluso l’azienda che ci aveva accolto per non aver rispettato la data iniziale di pubblicazione del nostro primo titolo. Avendo visto di persona quanto Bethesda e ZeniMax tenessero alla qualità e fossero disposti a supportarci, sapevamo di essere molto fortunati a far parte dell’organizzazione.

Iniziammo a lavorare su Wolfenstein: The New Colossus subito dopo la pubblicazione di The New Order. Ritenevamo che per il sequel dovessimo alzare la posta in gioco, soprattutto per quanto riguardava la storia. Non volevamo farci limitare da nulla. Non volevamo andare sul sicuro. Facemmo quello che facevamo sempre: stendere l’intero gioco su una lavagna, con tutti i capitoli, i luoghi e i momenti importanti della trama. Poi Jens e Tommy Tordsson Björk, il nostro progettista narrativo, iniziò a scomporre e a scrivere le scene.
Nel frattempo, avevamo già iniziato a lavorare su Wolfenstein: The Old Blood per tenere impegnato il team mentre procedevamo alla produzione di The New Colossus. The Old Blood era un omaggio a Return to Castle Wolfenstein, un gioco che avevo amato e usato come riferimento per The New Order, specialmente dato che volevo preservare quel feeling retrò che ritenevo fosse andato perduto nella nuova generazione di sparatutto. Il team fece un ottimo lavoro e pubblicò The Old Blood dopo soltanto un anno dall’uscita di The New Order. Venimmo criticati per la storia di The Old Blood, che fu ritenuta non all’altezza del titolo precedente. Sebbene non ci sembrasse giusto che venisse paragonato con un titolo a prezzo intero, fu anche bello vedere che la nuova pubblicazione di MachineGames aveva aspettative così elevate. Sinceramente, la storia più leggera di The Old Blood era l’effetto di tempi di produzioni ridotti e del fatto che la nostra creazione narrativa fosse già concentrata su The New Colossus, il nostro prossimo titolo di punta.
Il tema principale di The New Colossus era “libertà”.

Il nostro obiettivo e la nostra ambizione erano di usare tale tema per influenzare gli aspetti chiave del gioco: la libertà di liberarsi narrativamente dai tradizionali vincoli delle trame videoludiche, ambienti che i giocatori potessero rivisitare ed esplorare rapidamente e meccaniche di gioco libere da restrizioni.
The New Colossus venne pubblicato come previsto nell’ottobre del 2017, ma fu una corsa contro il tempo e mise sotto forte pressione i reparti di CQ e produzione. Pubblicare il gioco richiese sforzi epici da parte di tutti, compresa la preziosa assistenza dei nostri colleghi di Arkane e id Software. Giunti a chiudere le ultime cose in autunno, eravamo molto stanchi e non sapevamo cosa aspettarci in termini di ricezione del pubblico. Eravamo solo concentrati nel completare il gioco.
Poi, il 13 ottobre, ricevetti nella mia casella email le prima recensioni commissionate:

Oggetto: Wolfenstein II | Recensioni commissionate USA

Recensioni allegate. Non condividere ancora con nessuno.

XX l’ha valutato 65
XX l’ha valutato 74
Punteggio previsto: 69 – 74.


Considerato quanto eravamo soddisfatti della qualità del gioco, quelle recensioni furono un duro colpo. Jans, con cui ero solito confidarmi per queste cose, era a una conferenza stampa in Australia, e io non volevo dargli una notizia così deprimente quando era concentrato nel pubblicizzare il gioco. Quindi, la tenni per me.

A quanto pare, anche il nostro team PR americano restò scioccato dai punteggi, che ritennero drammaticamente bassi. Furono così colpiti, che inviarono immediatamente (e segretamente) il gioco per una terza revisione commissionata a Los Angeles, inviando una console con il gioco installato insieme a un dipendente che doveva già recarsi a LA in settimana. La recensione, fatta da un fan della serie Wolfenstein, ottenne un 90. A questo punto, era impossibile sapere cosa aspettarsi dalle recensioni videoludiche.
Non avevo intenzione di dirlo agli altri del team, soprattutto se consideriamo quanto stessero ancora lavorando duramente sul titolo. Il giorno della pubblicazione, portai alcuni grafici a pranzo e offrii loro una birra. Per quella sera era prevista una festa per la pubblicazione, e mentre ero pronto alle prime recensioni i ragazzi controllarono su Internet e su vari siti, e cominciammo a vedere le prime recensioni positive. Si trattava di punteggi tra l’8 e il 10, e vedere la felicità tra i membri del team presenti è uno dei momenti migliori della mia carriera.

Qualche ora più tardi, alla festa di pubblicazione di Wolfenstein II: The New Colossus.

The New Colossus fu un successo di critica, ma non fu facile arrivare a tali risultati, e dovevamo cercare nuovi modi di migliorare il nostro lavoro. Per farlo, dovevamo analizzare in modo pragmatico il nostro processo di sviluppo. Dobbiamo sempre puntare a diventare sviluppatori migliori, perché il nostro è un campo difficile, dipendente dalla tecnologia e pieno di problemi da risolvere, ed è cruciale apprendere dai propri errori per crescere come squadra, nonché come sviluppatori individuali.
Riguardando The New Colossus, uno degli errori che ho compiuto è stato trasferire lo stato ferito del personaggio alle meccaniche di gioco. B.J. era stato ferito gravemente alla fine The New Order, e volevo che lo stato fragile del suo fisico si riflettesse nel sistema della salute del gioco, il che portava a una salute limitata durante la prima metà del gioco, finché B.J. non otteneva un nuovo corpo, tornando così in piena salute. Questo, però, portò sfide di bilanciamento che avremmo potuto evitare facilmente per un’esperienza di gioco migliore. Avevamo fatto diverse modifiche per risolvere il problema, ma, con il senno di poi, avremmo dovuto scartare l’idea a priori. Un’altra cosa che avrei cambiato è il sistema di caccia agli Ãœberkommandant nazisti. Supportare il sistema e creare quelle missioni extra ha richiesto molto tempo, che avremmo potuto impiegare per rifinire e bilanciare meglio l’esperienza di gioco principale. Avremmo dovuto rimandare questo lavoro a dopo la pubblicazione, rendendolo un contenuto scaricabile.
(Non sono in molti a saperlo, ma, se siete completisti e sbloccate tutte le missioni Überkommandant, vi ritroverete a Manhattan, in una mappa semplice e aggiunta posteriormente, con la Statua della Libertà distrutta sullo sfondo. Un ulteriore rimando al tema principale del gioco.)

Dopo la pubblicazione di The New Colossus, volevamo provare qualcosa di diverso per il nostro prossimo titolo intermedio in stile The Old Blood. Inizialmente, avevamo pensato a un prequel (similmente a The Old Blood, che era un prequel di The New Order), ambientato mentre B.J. si stava riprendendo dalle ferite, con Caroline come personaggio giocabile. Tuttavia, era un po’ troppo banale, e decidemmo di sfruttare l’occasione di correre rischi maggiori rispetto alla realizzazione di un vero e proprio seguito, di un Wolfenstein 3. Inoltre, era da un po’ che parlavamo di creare qualcosa insieme ai nostri amici di Arkane Lyon. Dopo qualche scambio, decidemmo di cambiare direzione e di farlo insieme. Un gioco collaborativo e una collaborazione tra due studi… Wolfenstein: Youngblood.
Sebbene ci siano varie cose che avremmo potuto fare diversamente per semplificarci la vita e migliorare la qualità del gioco pubblicato, sono orgoglioso del team e di tutto quello che sono riusciti a ottenere in un periodo di sviluppo relativamente breve. A ben vedere, è un risultato incredibile: è il primo titolo cooperativo di Wolfenstein, il nostro primo gioco con una progressione GDR non lineare, il nostro primo gioco con una protagonista femminile, il primo gioco Bethesda a essere stato pubblicato in contemporanea su Bnet, Steam, PS4, Xbox e Nintendo Switch, ed è anche il primo gioco a essere stato pubblicato con un Buddy Pass. Inoltre, Youngblood è stato il primo titolo di Wolfenstein a essere pubblicato in formato non censurato in Germania.

Era un progetto rischioso, ma tale rischio è stato ripagato ampiamente, e non lo rimpiango. Wolfenstein: Youngblood ha dato vita a un team e a uno studio di MachineGames più preparati per il futuro. E il nostro futuro è molto ambizioso.
Se analizziamo questo decennio di Wolfenstein e gli anni di Starbreeze prima di essi, si nota l’importanza del team, della comunicazione e della collaborazione verso l’obiettivo condiviso di creare grandi giochi. Noi di MachineGames non temiamo di correre rischi, e il lavoro che svolgiamo sarà sempre difficile e impegnativo, ma per i giusti motivi: la crescita come sviluppatori e come squadra, e l’opportunità di creare esperienze di gioco incredibili.
Tutti noi sappiamo… o abbiamo imparato nel corso degli anni… che nella vita ci sono cose più importanti del lavoro. È incredibile che abbiamo dei membri del team che si sono uniti a noi quand’erano ventenni e che ora hanno famiglie e figli. Abbiamo avuto il privilegio di far parte dei loro viaggi personali. Ma anche il lavoro è una parte importante delle nostre vite. Dobbiamo mantenere passione per quello che facciamo. E, guardando quello che stiamo sviluppando e i grandi progressi che stiamo facendo, posso dire che la nostra passione per i giochi e per lo sviluppo videoludico è più forte che mai.

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